- L’evoluzione
della tutela normativa dei lavoratori esposti all’amianto
-
- L’amianto, chiamato anche asbesto,
è un minerale naturale a struttura fibrosa, con proprietà fonoassorbenti
e termoisolanti, che ha avuto estese e svariate applicazioni industriali,
laddove, appunto, vi fossero esigenze di assorbimento acustico e/o di
isolamento termico, considerato il suo basso costo di mercato.
- Peraltro,
proprio tale sua consistenza fibrosa è alla base della solo recente
riscontrata ed accertata sua pericolosità per la salute umana,
considerato che i materiali di amianto hanno la caratteristica di
rilasciare fibre aerodisperse nell’ambiente circostante, potenzialmente
inalabili attraverso la bocca ed il naso, che possono essere causa di
gravi patologie, a carico prevalentemente dell’apparato respiratorio,
quali: — l’asbestosi (malattia respiratoria cronica);— il
mesotelioma asbesto-correlato (tumore che colpisce la pleura, il peritoneo
ed il pericardio); — il carcinoma polmonare asbesto-correlato (tumore
che colpisce i polmoni).
- Ma
se oggi può dirsi con tutta certezza che la nocività dell’amianto è
ormai definitivamente accertata, non sono invece tuttora appieno
conosciuti le modalità ed i tempi con i quali le fibre di amianto
producono dette gravi patologie ad esse riconducibili.
- Per quanto innanzitutto attiene
l’aspetto della sicurezza ed igiene sul lavoro, e dunque per quanto
attiene l’aspetto della prevenzione, una specifica tutela normativa dei
lavoratori avverso i rischi dell’esposizione all’amianto è
intervenuta solo con il d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, emanato sulla base
dell’art. 7 della legge delega 30 luglio 1990, n.
212, in
attuazione, tra le altre, della direttiva Cee 19 settembre 1983, n. 83/477
in materia, appunto, di protezione dei lavoratori contro i rischi connessi
con un’esposizione all’amianto durante il lavoro, predisposta per tale
particolare problematica sulla scorta delle previsioni contenute nella
direttiva Cee 27 novembre 1980, n. 80/1107 in materia di generale
protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad
agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro.
- Prima
dell’entrata in vigore di tale d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, le
disposizioni a cui fare riferimento erano quelle contenute nel d.p.r. 19
marzo 1956, n. 303 recante le norme generali per l’igiene del lavoro, ed
in particolare l’art.
21 in
materia di generica difesa dei lavoratori contro la diffusione delle
polveri nell’ambiente di lavoro, ergo anche delle polveri di amianto; nonché quelle contenute
nel d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 recante le norme generali per
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, ed in particolare gli artt. da
140 a
176 in
materia di prevenzione sanitaria della silicosi e della asbestosi.
- Mentre,
con il d.lgs. 15 agosto 1991, n.
277, in
specie con il suo capo terzo (artt. da
22 a
37), si è finalmente predisposta una specifica regolamentazione per la
protezione dei lavoratori nell’ambito di tutte le attività lavorative
nelle quali vi è un rischio di esposizione alla polvere proveniente
dall’amianto o dai materiali contenenti l’amianto. Innanzitutto,
nell’ambito di tutte tali attività lavorative, è stato imposto al
datore di lavoro di effettuare una valutazione del rischio dovuto,
appunto, alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali
contenenti l’amianto, determinando in particolare il livello di
esposizione personale dei lavoratori a tale polvere espresso come numero
di fibre per centimetro cubo in rapporto ad un periodo di riferimento di
otto ore, al fine di stabilire le misure preventive e protettive da
attuare, anche a seconda del livello più o meno elevato di tale
esposizione, in specie laddove superi i livelli di 0,1 fibre per
centimetro cubo oppure di 0,5 giorni fibra per centimetro cubo (art. 24).
In tal caso, operando a carico del datore di lavoro anche un obbligo di
notifica all’organo di vigilanza a ciò deputato (art. 25). Inoltre,
nell’ambito di tutte tali attività lavorative, è stato imposto al
datore di lavoro di fornire una periodica informazione ai lavoratori ed ai
loro rappresentanti in merito a: a) i
rischi per la salute dovuti all’esposizione alla polvere proveniente
dall’amianto o dai materiali contenenti l’amianto; b)
le
specifiche norme igieniche da osservare; c)
le modalità
di uso e pulizia degli indumenti e mezzi protettivi da utilizzare; d) le misure precauzionali particolari da prendere per ridurre al minimo
detta esposizione (art. 26). Sempre nell’ambito di tutte tali attività
lavorative, è stato imposto al datore di lavoro di adottare tutta una
serie di misure tecniche, organizzative, procedurali e di misure
igieniche, atte ad eliminare o attenuare il più possibile l’emissione
di polvere di amianto nell’aria, limitando altresì al minimo il numero
dei lavoratori esposti o che possono essere esposti a tale polvere,
dotandoli peraltro di adeguati indumenti di lavoro e mezzi di protezione (artt.
27 e 28).
- Ancora,
il datore di lavoro è tenuto a realizzare un attento controllo sanitario
sui suoi dipendenti per il tramite del medico competente, che è a sua
volta tenuto a fornire ai dipendenti medesimi adeguate informazioni sul
contenuto delle visite a cui essi sono sottoposti; il datore di lavoro,
inoltre, è tenuto, se necessario, ad adottare altresì le misure
preventive e protettive per i singoli lavoratori sulla base dei risultati
degli esami effettuati, compreso l’allontanamento temporaneo o
definitivo del lavoratore interessato da qualsiasi esposizione
all’amianto (art. 29). Laddove poi l’esposizione all’amianto superi
i livelli di 0,1 fibre per centimetro cubo oppure di 0,5 giorni fibra per
centimetro cubo, il datore di lavoro è tenuto ad effettuare anche un
controllo periodico della reale esposizione giornaliera dei singoli
lavoratori alla polvere di amianto, attraverso la misurazione delle fibre
di esso presenti nell’aria, sulla base di predeterminati specifici
metodi di prelievo ed analisi, informandone in merito a relativi esiti i
lavoratori (art. 30); nonché, il datore di lavoro è tenuto a predisporre
un registro, ove devono essere iscritti i lavoratori esposti
all’amianto, i relativi dati di esposizione e gli esiti dei loro
controlli sanitari, che deve essere trasmesso in copia alle autorità
sanitarie competenti Ispel e Usl (art. 35).
- Il
d.lgs. 15 agosto 1991, n.
277, in
specie all’art. 31, fissa poi i valori limite di esposizione alla
polvere di amianto nell’aria, espressi come media ponderata in funzione
del tempo su un periodo di riferimento di otto ore, prevedendo in
proposito che tali limiti sono: a) di
0,6 fibre per centimetro cubo, per il crisotilo, e b) di
0,2 fibre per centimetro cubo, per tutte le altre varietà di amianto; in
caso di superamento di tali valori limite, al datore di lavoro è imposto
di identificare e rimuovere le cause di ciò, adottando quanto prima le
misure d’emergenza appropriate in merito, informandone in proposito sia
l’organo di vigilanza competente, sia i lavoratori interessati; fintanto
poi che la situazione non risulti normalizzata, con il ritorno al rispetto
dei valori limite, il lavoro non può proseguire, se non eccezionalmente
ovvero se non per particolari operazioni lavorative, ma comunque sempre
con particolari accorgimenti protettivi (artt. 31, 32 e 33). Infine, la l.
27 marzo 1992, n.
257 ha
dettato in generale le norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto sul nostro territorio nazionale.
- Essa
in particolare, fermi i valori limite di concentrazione di fibre di
amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza o si trasforma o
si smaltisce amianto di cui al sopra citato art. 31 del d.lgs. 15 agosto
1991, n. 277, detta norme per la dismissione dalla produzione e dal
commercio, per la cessazione dell’estrazione, dell’importazione,
dell’esportazione e dell’utilizzazione dell’amianto e dei prodotti
che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di
bonifica delle aree interessate dall’inquinamento da amianto, per la
ricerca finalizzata all’individuazione di materiali sostitutiva alla
riconversione produttiva e per il controllo sull’inquinamento da
amianto. Per quanto invece attiene l’aspetto previdenziale, una
specifica tutela normativa dei lavoratori che hanno contratto malattie
professionali conseguenti dell’esposizione all’amianto, in particolare
l’asbestosi, è intervenuta con il d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124,
recante le norme generali per l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali presso l’Istituto
nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail),
ed in particolare con gli artt. da
140 a
176 di esso, contenenti appunto disposizioni speciali per la silicosi e la
asbestosi.
- Peraltro,
i benefici previdenziali previsti in tali disposizioni, e cioè
l’indennità giornaliera per l’inabilità temporanea, la rendita per
l’inabilità permanente, l’assegno per l’assistenza personale
continuativa, la rendita ai superstiti e l’assegno una tantum in caso di morte, le cure mediche e chirurgiche, compresi
gli accertamenti clinici e la fornitura di eventuali protesi di cui
all’art. 66 del d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, operano a favore dei
lavoratori o dei loro parenti soltanto in caso di accertata sussistenza di
una vera e propria malattia professionale, tra le quali è appunto
compresa l’asbestosi, eventualmente associata ad altre forme morbose
dell’apparato respiratorio, per la quale è oltretutto prevista una
ulteriore particolare rendita c.d. di passaggio ad una nuova occupazione
per il periodo di un anno a norma dell’art. 150 del d.p.r. 30 giugno
1965, n. 1124 medesimo. In aggiunta a tale generale tutela previdenziale
operante in caso di vere e proprie malattie professionali conseguenti
dell’esposizione all’amianto, in forza dell’art. 13 della citata l.
27 marzo 1992, n. 257, che detta anche misure di sostegno per i lavoratori
entrate in vigore in data 28 aprile 1992, è poi intervenuta
un’ulteriore specifica tutela anche per particolari ipotesi ove risulti
accertata anche solo una prolungata esposizione del lavoratore
all’amianto, sul presupposto che chi è stato per un lungo tempo esposto
all’amianto è comunque in una condi-zione di grave rischio patologico,
che è di per sé da valutare immediatamente come un danno, anche se
potrebbe poi non evolversi successivamente in una malattia professionale,
per il solo fatto che tale evento è altamente prevedibile.
- Tale
art. 13, ai suoi primi cinque commi ed al co. 9, prevede innanzitutto il
trattamento straordinario di integrazione salariale e pensionamenti
anticipati a certe condizioni di anzianità assicurativa e contributiva, a
favore dei lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggano
amianto, impegnate in processi di ristrutturazione e riconversione
produttiva.
- Inoltre,
il medesimo art. 13, ai suoi successivi co. 6, 7 ed 8, prevede il
beneficio di una maggiorazione contributiva ai fini del conseguimento
delle prestazioni pensionistiche, sia in termini di diritto alla pensione,
che di misura di essa, per certe determinate categorie di lavoratori
esposti all’amianto, in presenza di specifici presupposti.
- In
particolare, il co. 6 prevede in primo luogo che per i lavoratori delle
miniere o delle cave di amianto, il numero di settimane coperto da
contribuzione obbligatoria relativa ai periodi di prestazione lavorativa
ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche sia
moltiplicato per il coefficiente di 1,5. Il co. 7, così come modificato
dall’art. 1 bis del d.l. 5 giugno 1993,
n. 169 convertito con modifiche in l. 4 agosto 1993, n. 271, prevede in
secondo luogo che per i lavoratori che abbiano contratto malattie
professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Inail,
il numero di settimane coperto da contribuzione obbligatoria relativa ai
periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione
all’amianto ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche
sia del pari moltiplicato per il coefficiente di 1,5.
- Infine,
il co. 8 dell’art.
13 in
esame, così come modificato dall’art. 1 del d.l. 5 giugno 1993, n. 169
convertito con modifiche in l. 4 agosto 1993, n. 271, prevedeva in terzo
luogo che per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un
periodo superiore a dieci anni (a prescindere dunque da ogni riferimento
alla tipologia di attività produttiva del datore di lavoro), il periodo
di lavoro soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall’esposizione all’amianto gestita dall’Inail
fosse del pari moltiplicato per il coefficiente di 1,5; tale coefficiente
attualmente è stato ridotto alla misura di 1,25, con decorrenza dalla
data del 1° ottobre
2003, in
forza dell’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con
modifiche in l. 24 novembre 2003, n. 326. Prima però di soffermarsi
anche sulle ulteriori rilevanti modifiche introdotte in materia, con
decorrenza dalla data del 2 ottobre 2003, dall’appena citato art. 47 del
d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre
2003, n. 326, risulta opportuno dare conto dei ripetuti interventi della
Corte costituzionale e della Corte di Cassazione in merito al co. 8
dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, che evidentemente contiene
il beneficio previdenziale di maggiore rilievo ed impatto per i lavoratori
e per gli enti previdenziali, rispetto alle altre norme contenute nello
stesso articolo.
La Corte
costituzionale è intervenuta una prima volta per esprimere il suo
giudizio di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3 e 81, co. 4,
della Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo
1992, n. 257, con la sentenza 12 gennaio 2000, n. 5, con la quale ha avuto
modo di fornire la propria interpretazione circa la ratio
della norma, individuata nella finalità legislativa di
fornire ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di
tempo, e cioè almeno dieci anni, un beneficio correlato alla possibile
incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano
potenzialità di rischio morbigeno, rispetto alle patologie che
l’amianto è capace di generare per la sua semplice presenza
nell’ambiente di lavoro. Con ordinanza 12 gennaio 2000, n. 7,
la Corte
costituzionale ha poi dichiarato la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale sempre rispetto all’art. 3
della Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo
1992, n. 257, con la sentenza 22 aprile 2002, n. 127.
- Ancora,
la Corte
costituzionale è intervenuta una seconda volta per esprimere il suo
giudizio di legittimità costituzionale sempre rispetto all’art. 3 della
Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n.
257, con la sentenza 22 aprile 2002, n. 127, con la quale ha avuto modo di
fornire la propria ulteriore interpretazione circa la ratio della norma, evidenziando come il beneficio della
maggiorazione dell’anzianità contributiva assume una funzione
compensativa rispetto all’obiettiva pericolosità dell’attività
lavorativa svolta, stante la capacità dell’amianto di produrre danni
sull’organismo in relazione al tempo ultradecennale di esposizione ad
esso.
- Inoltre, una terza volta
la Corte
costituzionale è intervenuta per esprimere il suo giudizio di legittimità
costituzionale rispetto agli artt. 3, co. 1, e 38, co. 2, della
Costituzione, in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n.
257, con la sentenza 31 ottobre 2002, n. 434, con la quale ha avuto modo
di fornire la propria ulteriore interpretazione circa la norma in
questione, rilevando in particolare che essa esclude dal beneficio
contributivo coloro che alla data della sua entrata in vigore, cioè alla
data del 28 aprile 1992, erano già titolari di una pensione di anzianità
o di vecchiaia, atteso che opera in materia il principio generale secondo
cui le prestazioni previdenziali si devono liquidare sulla base della
legge vigente alla data della liquidazione stessa; anche
la Corte
di Cassazione è intervenuta in proposito, sempre rilevando che sono
esclusi dall’applicazione dei benefici contributivi di cui al co. 8
dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n.
257, in
armonia con la sentenza 31 ottobre 2002, n. 434 della Corte cost., non
solo coloro che alla data della sua entrata in vigore, cioè alla data del
28 aprile 1992, erano già titolari di una pensione di anzianità o di
vecchiaia, ma anche coloro che erano già titolari di una pensione di
inabilità, ma non invece coloro che erano già titolari di una pensione
di invalidità, in particolare, tra le altre, con le sue sentenze 19
aprile 2001, n. 5764; 25 ottobre 2001, n. 13195; 1° febbraio 2002, n.
1319; 9 dicembre 2002, n. 17528; 21 dicembre 2002, n. 18243; 26 febbraio
2003, n. 2932; 29 ottobre 2003, n. 16256; 13 febbraio 2004, n. 2849; 27
febbraio 2004, n. 4063 e 28 aprile 2004, n. 8182. Infine, con ordinanza 19
dicembre 2003, n. 369,
la Corte
costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale rispetto agli artt. 3, 32 e 38 della
Costituzione, sempre in merito al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo
1992, n. 257, con la sentenza 22 aprile 2002, n. 127.
La Corte
di Cassazione è del pari intervenuta in merito al co. 8 dell’art. 13
della l. 27 marzo 1992, n. 257 fornendo a sua volta dei propri criteri
interpretativi della norma, in particolare, tra le altre, con le sue
sentenze 3 aprile 2001, n. 4913, 28 giugno 2001, n. 8859, 27 febbraio
2002, n. 2926, 15 maggio 2002, n. 7048, 11 luglio 2002, n. 10114, 23
gennaio 2003, n. 997, 29 ottobre 2003, n. 16256 e 19 ottobre 2004, n.
20467, sottolineando come il riferimento all’esposizione pluridecennale
all’amianto ivi contenuto debba intendersi come un’esposizione ad una
concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite fissati dal
sopra esaminato art. 31 del d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, e ribaditi
peraltro anche dall’art. 3 della stessa l. 27 marzo 1992, n. 257, cioè
un’esposizione c.d. qualificata; così rilevando in definitiva come i
destinatari della disposizione in esame siano da intendere i lavoratori
che, quale che sia stata l’attività produttiva del loro datore di
lavoro, abbiano comunque subito una esposizione qualificata (nei sopra
precisati termini) all’amianto per oltre dieci anni (compresi i periodi
di pausa fisiologica dell’attività lavorativa, quali le ferie, i
riposi, le festività), volendo il legislatore assicurare ad essi la
possibilità di abbandonare anticipatamente il lavoro attribuendo loro un
trattamento di favore, analogo a quello accordato ai lavoratori addetti a
cave e miniere di amianto ed ai lavoratori già riscontrati affetti da
malattie professionali imputabili all’amianto. L’incarico
dell’accertamento del rischio di esposizione all’amianto, nonché del
rilascio dell’attestazione del periodo di esposizione, per ogni
lavoratore che ne faccia richiesta, è stato affidato all’Inail, sulla
base degli atti di indirizzo emanati in materia da parte del Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali. Sempre per quanto attiene l’aspetto
dei benefici previdenziali a favore dei lavoratori esposti all’amianto,
è intervenuto in ultimo nel nostro ordinamento l’art. 47 del d.l. 30
settembre 2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n.
326.
- Innanzitutto,
come già anticipato, tale norma, al co.
1, ha
previsto a decorrere dalla data del 1° ottobre 2003 che il coefficiente
stabilito dal co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257 sia
ridotto dalla misura di
1,5 a
1,25, e cioè del 50%. Inoltre, tale norma, al co.
1, ha
altresì oltretutto previsto a decorrere dal la data del 1° ottobre 2003
che tale coefficiente moltiplicatore si applichi soltanto ai limitati fini
della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non
più invece anche ai fini della maturazione del diritto di accesso alle
medesime come in precedenza. Con il che, dal 1° ottobre
2003 in
avanti, il diritto al conseguimento della pensione dei soggetti esposti
all’amianto è soggetto alle norme generali, valevoli per tutti i
lavoratori, senza particolari benefici di anticipazione, come invece è
accaduto per il precedente periodo dal 28 aprile 1992 al 30 settembre
2003. L’art.
47 in
esame, al co.
3, ha
poi precisato che con decorrenza dal 1° ottobre 2003 i benefici
previdenziali competano ai lavoratori che per un periodo superiore a dieci
anni siano stati esposti all’amianto in una concentrazione media annua
non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno.
Dal 1° ottobre
2003 in
avanti, l’esposizione all’amianto che ha rilievo ai fini dei benefici
previdenziali in questione è qualificata per legge nella misura predetta.
Inoltre, dal 1° ottobre
2003 in
avanti, i benefici previdenziali conseguenti a tale determinata
esposizione all’amianto operano indifferentemente per tutti i
lavoratori, a prescindere dal regime previdenziale di appartenenza, e
dunque anche per quelli non coperti dall’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita
dell’Inail, diversamente che dal passato, fermo che, come previsto dal
successivo co. 6 ter,
i soggetti cui sono stati estesi i benefici previdenziali
medesimi, qualora siano destinatari di benefici previdenziali che
comportino, rispetto ai regimi pensionistici di appartenenza,
l’anticipazione all’accesso al pensionamento ovvero l’aumento
dell’anzianità contributiva, hanno l’onere di optare tra i due
diversi benefici ed in ogni caso ad essi non si applicano i benefici
previdenziali in questione, qualora abbiano già usufruito dei predetti
aumenti o anticipazioni alla data del 1° ottobre 2003. Tale limite minimo
non si applica però, in forza del medesimo co. 3, ai lavoratori per i
quali sia stata accertata una malattia professionale a causa
dell’amianto.
- La
sussistenza e la durata dell’esposizione sono accertate e certificate da
parte dell’Inail, come previsto dal successivo co. 4.
- A
norma del co. 5 dell’art. 47 i lavoratori che intendano ottenere il
riconoscimento dei benefici previdenziali in esame, compresi coloro ai
quali era già stata rilasciata la certificazione relativa
all’esposizione all’amianto prima del 1° ottobre 2003, devono
presentare apposita domanda alla sede dell’Inail di residenza, a pena di
decadenza del relativo diritto, entro 180 giorni dalla data di
pubblicazione del decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche
sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, che
deve stabilire le modalità di attuazione della normativa in esame. Sono
invece fatte salve le previgenti disposizioni, secondo quanto precisato
dal co. 6 bis del medesimo art. 47, per coloro che alla data del 1° ottobre 2003
abbiano già maturato il trattamento pensionistico anche in forza dei
benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27 marzo
1992, n. 257, nonché per coloro che sempre alla data del 1° ottobre 2003
abbiano fruito di trattamenti di mobilità ovvero abbiano già definito la
risoluzione del loro rapporto di lavoro in relazione alla propria domanda
di pensionamento. In proposito, l’art. 3, co. 132, della l. 24 dicembre
2003, n.
350 ha
avuto modo ulteriormente di ribadire che in favore dei lavoratori che alla
data del 2 ottobre 2003 abbiano già maturato il diritto al conseguimento
dei benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13 della l. 27
marzo 1992, n. 257, sono fatte salve le disposizioni previgenti a tale
data; e che ciò vale anche per coloro che entro la stessa data del 2
ottobre 2003 hanno avanzato domanda di riconoscimento all’Inail o che
ottengono sentenze favorevoli per cause già avviate entro la data
medesima. Finalmente, in data 27 ottobre 2004 è stato emanato il decreto
del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, di concerto con il
Ministro dell’Economia e delle Finanze, che ha stabilito le modalità di
attuazione della normativa contenuta nell’art. 47 del d.l. 30 settembre
2003, n. 269 convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n.
326. In
primo luogo, per quanto attiene coloro che alla data del 2 ottobre 2003
sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi soggetti
all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali gestita dell’Inail ed abbiano già maturato il
diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui al co. 8
dell’art. 13 della l. 27 marzo 1992, n. 257, è previsto che si applichi
la disciplina previgente a tale data, fermo restando l’obbligo per essi
di presentare la relativa domanda, qualora non vi abbiano già provveduto,
entro il termine di 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto
medesimo, e cioè entro e non oltre il 15 giugno
2005, a
pena di decadenza.
- In
secondo luogo, per quanto attiene invece coloro che alla data del 2
ottobre 2003 sono stati esposti all’amianto per periodi lavorativi anche
non soggetti all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali gestita dell’Inail, ed in particolare
sono stati occupati per un periodo non inferiore a dieci anni in attività
lavorative comportanti un’esposizione all’amianto in una
concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore
medio su otto ore al giorno, e comunque sulla normale durata oraria
giornaliera prevista dai c.c.n.l., l’intero periodo di esposizione
all’amianto è moltiplicato per il coefficiente di 1,25, ai fini della
determinazione dell’importo della prestazione pensionistica.
Intendendosi per attività lavorative comportanti un’esposizione
all’amianto, le seguenti: a) la
coltivazione, l’estrazione od il trattamento di minerali amiantiferi; b) la produzione di manufatti contenenti l’amianto; c) la fornitura a misura, la preparazione, la posa in opera o
l’installazione di isolamenti o manufatti contenenti amianto; d)
la
coibentazione con amianto, la decoibentazione o bonifica da amianto, di
strutture, impianti, edifici o macchinari; e)
la
demolizione, la manutenzione, la riparazione, la revisione, il collaudo di
strutture, impianti, edifici o macchinari contenenti amianto; f) la movimentazione, la manipolazione e l’utilizzo di amianto o di
manufatti contenenti amianto; la distruzione, la sagomatura e il taglio di
manufatti contenenti amianto; g)
la raccolta,
il trasporto, lo stoccaggio e la messa a discarica di rifiuti contenenti
amianto.
- Intendendosi
poi per periodo di esposizione all’amianto, il periodo di attività
lavorativa effettivamente svolta.
- La
sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto sono accertate e
certificate dall’Inail, così come in passato.
- La domanda di accertamento e di
certificazione dell’esposizione all’amianto deve dunque essere
presentata alla sede Inail competente, entro il termine di 180 giorni
dalla data di entrata in vigore del decreto medesimo, e cioè entro e non
oltre il 15 giugno
2005, a
pena di decadenza dal diritto ai benefici previdenziali. Tale domanda deve
essere ripresentata anche da parte di coloro che avevano eventualmente già
presentato domanda di certificazione dell’esposizione all’amianto per
periodi lavorativi anche non soggetti all’assicurazione obbligatoria
contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita
dell’ Inail alla data del 2 ottobre 2003.
- L’avvio
del procedimento di accertamento dell’Inail è subordinato all’onere
di presentazione da parte del lavoratore interessato del suo curriculum lavorativo, rilasciato dal datore di lavoro, dal quale
risulti la sua adibizione in modo diretto ed abituale ad una delle attività
lavorative comportanti un’esposizione all’amianto sopra dette.
- Le
controversie relative al rilascio ed al contenuto dei curricula lavorativi sono di competenza delle direzioni provinciale
del lavoro. Ai fini dell’accertamento dell’esposizione all’amianto,
il datore di lavoro è tenuto a fornire all’ Inail tutte le notizie ed i
documenti ritenuti utili. Nel corso di tale accertamento, l’ Inail
esegue i sopralluoghi ed effettua gli incontri tecnici che ritiene
necessari.
- Nel
caso in cui il datore di lavoro risulti irreperibile, anche per fallimento
o cessazione dell’azienda, il curriculum lavorativo è rilasciato, sulla
base delle sue risultanze ed indagini, dalla Direzione provinciale del
lavoro.
- Per
lo svolgimento dei suoi compiti, l’Inail si avvale dei dati delle
indagini mirate di igiene industriale, di quelli della letteratura
scientifica, delle informazioni tecniche ricavabili da situazioni di
lavoro analoghe, nonché di ogni altra documentazione e conoscenza utile a
formulare un giudizio sull’esposizione all’amianto fondato su criteri
di ragionevole verosimiglianza.
- La
certificazione della sussistenza e della durata dell’esposizione
all’amianto deve essere rilasciata dall’Inail entro un anno dalla
conclusione dell’accertamento tecnico. Infine, il lavoratore in possesso
della certificazione rilasciata dall’Inail, deve presentare domanda di
pensione all’ente previdenziale di sua appartenenza, che provvede a
liquidare il trattamento pensionistico con i benefici previdenziali in
esame.
- Fermo che l’anzianità complessiva
utile ai fini pensionistici, conseguita con l’attribuzione dei benefici
previdenziali derivanti dall’esposizione all’amianto, non può in ogni
caso superare i quaranta anni ovvero il corrispondente limite massimo
previsto dai regimi pensionistici di rispettiva appartenenza ove
inferiore. L’Inail ha dettato le indicazioni operative necessarie alla
presentazione delle domande di certificazione con la circolare 29 dicembre
2004, n. 90.
- In
particolare, con tale circolare, l’Inail ha avuto modo di precisare in
definitiva che in base alle attuali previsioni normative la data ultima di
esposizione all’amianto utile per la maturazione del diritto ai benefici
previdenziali valevole indistintamente per tutti i lavoratori è quella
del 2 ottobre 2003. Ferma tale data finale, sono previsti due diversi
regimi, a seconda che il periodo lavorativo di esposizione all’amianto
fosse o meno soggetto all’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dell’ Inail. Il
primo regime è quello relativo ai lavoratori che sono stati esposti
all’amianto per periodi lavorativi soggetti all’assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
gestita dell’ Inail, per i quali si applica la disciplina previgente al
2 ottobre 2003, laddove a tale data essi abbiano già maturato il diritto
al conseguimento dei benefici previdenziali di cui al co. 8 dell’art. 13
della l. 27 marzo 1992, n. 257, e cioè del coefficiente moltiplicativo
del 1,5 del periodo di esposizione all’amianto ai fini sia della
determinazione delle prestazioni pensionistiche e sia soprattutto della
maturazione del diritto di accesso alle medesime.
- Laddove
non vi abbiano già provveduto in precedenza, anche per essi è peraltro
fatto obbligo di presentare all’Inail la domanda di certificazione di
esposizione ultradecennale all’amianto verificatasi entro il 2 ottobre
2003, entro il termine del 15 giugno
2005, a
pena di decadenza dal diritto ai benefici previdenziali in questione.
- Il
secondo regime è quello relativo ai lavoratori che sono stati esposti
all’amianto per periodi lavorativi non soggetti invece
all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali gestita dell’Inail, e cioè vigili del fuoco,
personale di volo, marittimi, dipendenti civili e militari dello Stato e
per un certo periodo ferrovieri e postali (si veda l’art. 127 del d.p.r.
30 giugno 1965, n. 1124), per i quali si applica la disciplina successiva
al 2 ottobre 2003 di cui all’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269
convertito con modifiche in l. 24 novembre 2003, n. 326. Anche laddove vi
abbiano già provveduto in precedenza, per essi è fatto in ogni caso
obbligo di presentare all’ Inail la domanda di certificazione di
occupazione ultradecennale in una delle individuate attività lavorative e
comportanti un’esposizione all’amianto in una concentrazione media
annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al
giorno verificatasi entro il 2 ottobre 2003, entro il termine del 15
giugno
2005, a
pena di decadenza dal diritto ai benefici previdenziali in questione, e
cioè del coefficiente moltiplicativo del 1,25 del periodo di esposizione
all’amianto ai fini però della sola determinazione dell’importo delle
prestazioni pensionistiche e non già della maturazione del diritto di
accesso alle medesime.
- LUCA
TARTAGLIONE
- Docente
della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena
-
- (fonte: Massimario di
giurisprudenza del lavoro n. 8-9, agosto/settembre 2005, p. 636)