Michele Miscione (Professore Ordinario nell'Università di Trieste)
[31] Sui requisiti della cessazione della materia del contendere, si rinvia a per tutte, a Cass. 8 settembre 1997 n. 8698, 27 gennaio 1998 n. 801, 27 aprile 2000 n. 5390, Cass., Sez. Un., 28 settembre 2000 n. 1048, Cass., Sez. Un., 10 luglio 2001 n. 9332.
***°°°***
Il Giudice a scioglimento della riserva che precede;
letti gli atti ed esaminati i documenti della causa;
osserva in fatto e diritto:
1. Il ricorrente ha lavorato alle dipendenze della Eridania SPA presso lo zuccherificio in località di Russi (RA) in qualità di operaio manutentore ed addetto al controllo impianto dal 28.1.1963 al 28.02.1991; è andato in pensione di anzianità con decorrenza dall’1.3.1991, prima dell’entrata in vigore della legge 257/1992. In data 28.10.2002 ha ricevuto dall’INAIL l’attestazione positiva di esposizione all’amianto ai sensi della legge 257/92 essendo stata riconosciuta come provata la sua esposizione per tutto il periodo di lavoro svolto alle dipendenze dell’Eridania per più di 28 anni (dal 28.1.1963- al 28.2.1991); in particolare, va evidenziato, che il ricorrente ha ricevuto l’attestazione di esposizione all’amianto dall’INAIL ai sensi dell’art.13, comma 7°, l.257/1992 in quanto risulta affetto da malattia professionale derivante dall’esposizione all’amianto (malattia riconosciuta dall’Inail in data 1.8.2002).
Dopo aver ricevuto l’attestato di esposizione, il ricorrente ha richiesto all’INPS la ricostituzione della propria pensione e la corresponsione dell’aumento derivante dall’applicazione dell’art. 13, 7° comma della L. 257/92 (come mod. dalla L. 271/93) il quale riconosce il beneficio della rivalutazione contributiva in questi termini: "Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche per i lavoratori che abbiano contratto malattie professionali a causa dell’esposizione all’amianto documentate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) il numero di settimane coperte da contribuzione obbligatoria relativa a periodi di prestazione lavorativa per il periodo di provata esposizione all’amianto è moltiplicato per il coefficiente di 1,5.” …”.
2. L’INPS non ha però accolto la richiesta del ricorrente opponendogli il fatto che alla data di entrata in vigore della legge 257/1992 ( 28 aprile 1992) egli non fosse in attività lavorativa e si trovasse anzi in pensione di anzianità con decorrenza dall’1.3.1991. A fondamento del proprio diniego l’INPS richiama poi in questo giudizio l’orientamento giurisprudenziale dominante e la sentenza n. 434/2002 della Corte Costituzionale e sostiene che i benefici previdenziali di cui all’art.13 della legge non si applicherebbero ai lavoratori che siano stati collocati in pensione (di anzianità o di vecchiaia) prima dell’entrata in vigore della legge, ancorché si tratti di lavoratori che risultano aver contratto malattie professionali per l’esposizione all’amianto.
Pur non contenendo la legge alcun espresso limite in tal senso, secondo la tesi richiamata dall’INPS il diniego dei benefici previdenziali ai pensionati ante 1992 si ricaverebbe dalla finalità assegnata dal legislatore alla maggiorazione contributiva in questione; in quanto essa sarebbe stata diretta ad agevolare l’esodo dei lavoratori appartenenti al dismesso settore amianto ovvero da applicare a quei lavoratori a rischio di perdere il posto di lavoro a causa della cessazione della lavorazione dell’amianto oppure in difficoltà occupazionali per aver corso un rischio alla salute nella lavorazione con l’amianto; tutte difficoltà, si dice, che i lavoratori pensionati prima della legge 257/1992 non avrebbero potuto correre appunto perché in pensione.
In particolare è stato ricordato dall’INPS che anche per la Corte Costituzionale il beneficio della rivalutazione contributiva non possa spettare ai lavoratori esposti all’amianto pensionati prima della legge 257, avendo essa riconosciuto con la sentenza 434/2002 che questi benefici abbiano la “principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto di ottenere il diritto alla pensione” .
3. In realtà va rilevato come la Corte Costituzionale non si sia mai pronunciata sulla questione oggetto di questo giudizio; mentre è pure sbagliato, ad avviso di chi scrive, volere estendere ai benefici stabiliti dall’art. 13, comma 7 ricostruzioni esegetiche effettuate in relazione ai diversi benefici di cui all’art.13, comma 8.
Vero è peraltro che la giurisprudenza della Corte di Cassazione sembra aver accomunato i due diversi tipi di benefici sotto una stessa ottica finalistica ed ha (sentenza 2849/2004) parimenti sostenuto che anche ai lavoratori ammalati da malattia professionale da amianto non possano attribuirsi benefici contributivi qualora gli stessi lavoratori siano andati in pensione di anzianità o di vecchiaia, prima dell’entrata in vigore della legge 257/92 ( 28.4.1992).
Se questo individuato dalla Corte di Cassazione dovesse essere il corretto tenore dell’art.13,comma 7° della legge 257/1992, allora la stessa norma urta, ad avviso dello scrivente, contro diversi parametri costituzionali e comporta quindi di necessità che venga sollevata la questione di illegittimità costituzionale della normativa nella parte in cui impedisce l’attribuzione del beneficio a chi fosse pensionato prima dell’entrata in vigore della legge 257/1992, discriminandolo pure in maniera irrazionale ed immotivata da chi fosse andato in pensione dopo la medesima legge 257/1992.
4. La questione che deve essere perciò esaminata sul piano costituzionale investe nuovamente il problema dei destinatari del beneficio contributivo di cui alla legge 257/92, ma non riguarda i destinatari di cui al comma 8° (i lavoratori esposti ultradecennali) bensì quelli di cui al comma 7° ( i lavoratori ammalati anche non ultradecennali).
Ritiene questo giudice che la questione meriti di essere portata davanti alla Corte Costituzionale per due ordini di ragioni. Anzitutto perché il dialogo tra gli organi inseriti nel medesimo circuito del giudizio di costituzionalità può servire ad affinare l’interpretazione di una normativa ed a portare all’individuazione del significato maggiormente aderente al dettato costituzionale. In secondo luogo e soprattutto perché la disciplina del comma 7° dell’art.13 della legge 257/92 ha, rispetto a quella dettata dal comma 8° della medesima norma, una portata diversa - che si riflette anche sul terreno costituzionale - sia sotto il profilo soggettivo (in quanto si riferisce solo ai lavoratori affetti da malattie professionali derivanti dall’amianto) sia per il profilo oggettivo (perché non richiede alcun periodo minimo di esposizione al fine di accordare la rivalutazione contributiva, potendo bastare qualsiasi periodo di esposizione anche inferiore al decennio). D’altra parte, le differenze tra i due tipi di rivalutazione contributiva sono stati ulteriormente accentuate dalla nuova normativa dettata con la legge 24.11.2003 n.326 di conversione dell’art. 47 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269; siccome per i lavoratori ammalati non vale la nuova peggiorativa disciplina che è stata introdotta con la stessa legge; per gli ammalati nulla è mutato in quanto il beneficio si applica sia per l’accesso a pensione sia per l’importo, e sempre nella misura originaria del 50% di aumento previsto dall’originario comma 7. Non vale nemmeno per gli ammalati l’onere della prova dell’esposizione a più di 100 fibre litro per otto ore al giorno previsto nella nuova normativa - posto che non avrebbe alcun senso pretendere la prova di un’esposizione qualificata al rischio da chi ha già visto tramutarsi quel rischio in un danno conclamato: oltre alla malattia, ai fini del beneficio occorre soltanto la prova del periodo di esposizione e basta. Infine non vale neppure per gli ammalati il termine di decadenza introdotto dalla nuova legge; e la domanda per ottenere l’indennizzo previdenziale è sempre possibile; anche oltre il 26 giugno 2005 (individuato come ultima data utile sulla scorta del D.M. 27.10.2004 pubblicato il 17.12.2004.); anche oggi perciò potrebbe essere presentata una domanda ai sensi del comma 7 dell’art.13 l.257/1992 da un lavoratore affetto da malattia professionale correlata all’asbesto.
5. Sulla scorta di queste premesse appare del tutto evidente, ad avviso di questo giudice, il sospetto di illegittimità costituzionale che investe la normativa in oggetto ai sensi degli art. 3, 1° comma e 2 Cost., qualora si volesse condividere la tesi sostenuta dalla Corte di Cassazione che esclude dall’ambito di applicazione della normativa i lavoratori affetti da malattie da amianto che fossero pensionati prima della legge del 1992.
Si tratta di uno sbarramento che non appare infatti giustificato ai sensi della Carta Costituzionale; né potrebbe servire ad introdurre una qualche logica giustificazione richiamare la tesi che vorrebbe ricondurre la finalità del beneficio in questione all’agevolazione dell’esodo ed al raggiungimento della pensione per i lavoratori appartenenti al dimesso settore amianto.
Anzitutto perché gli ammalati in discorso, previsti come destinatari dalla legge, possono essere lavoratori appartenenti a qualsiasi settore merceologico e non aver mai sofferto della asserita crisi occupazionale derivante dalla cessazione dell’amianto; anzi un lavoratore ammalato potrebbe avere cessato il lavoro ed essere andato in pensione per il fatto stesso della malattia; e quindi non c’è motivo per differenziare chi è andato in pensione per lo stesso fatto di aver contratto la malattia prima o dopo l’entrata in vigore della legge.
In secondo luogo va osservato che un lavoratore può contrarre una malattia da esposizione all’amianto dopo anni e anni dalla cessazione dell’attività morbigena e dal conseguimento della pensione. Anche chi ha conseguito la pensione dopo il 28.4.1992, può subire questo evento, a prescindere da qualsiasi crisi del settore amianto; e può subirlo a lunghissima distanza dal pensionamento. E’ noto infatti che vi siano malattie da amianto che potrebbero essere causate da esposizioni anche di basso livello subite in imprese che non rientrano nel c.d. settore amianto (e segnatamente il mesotelioma che è una malattia che non è dose-correlata). Si tratta pure di malattie che sopravvengono sempre a distanza di tempo, anche lunga e lunghissima (variabile da 10 ai 40 anni), dall’esposizione professionale e dalla cessazione dell’attività lavorativa. Le malattie in questione – che costituiscono il requisito essenziale per l’applicazione dell’art.13,comma 7° - sono dunque eventi futuri ed incerti che non hanno alcuna relazione con la data del conseguimento della pensione, né con la crisi del settore amianto; si tratta di eventi che potrebbero intervenire in ogni momento della vita del lavoratore, oltrepassata anche qualsiasi possibile soglia di accesso all’età lavorativa: non ha perciò, di nuovo, alcun senso ipotizzare che la rivalutazione previdenziale in questione venga accordata invece per sopperire a delle difficoltà occupazionali di un soggetto che ha subito l’evento dopo molto tempo dal conseguimento della pensione e dopo aver oltrepassato qualsiasi possibile soglia di riammissione al lavoro.
Non esiste perciò alcuna ragione logica e giuridica per cui la legge debba accordare il beneficio in oggetto all’ammalato pensionato dopo il 28.4.1992 e debba negarlo invece al lavoratore ammalato che ha conseguito la pensione prima della stessa data. Si tratta di una differenza che non presenta alcun connotato di razionalità, perché in nessuno dei due casi il beneficio potrebbe rimediare ad un qualsiasi pregiudizio occupazionale ricollegabile al pensionamento e/o alla dismissione del settore amianto; mentre in entrambi i casi il beneficio potrebbe rivestire l’eguale effetto di compensare un pregiudizio effettivo e reale sopraggiunto nella vita di una persona, senza alcuna connessione con lo stato di pensionato.
6. Nel caso oggetto di questo giudizio si tratta poi di un lavoratore di uno zuccherificio che non c’entra niente col settore amianto; un lavoratore che si è ammalato nel 2002 ed ha già ottenuto dall’Inail tanto il riconoscimento della malattia professionale, tanto il riconoscimento dell’esposizione; ad a cui nondimeno l’INPS non riconosce l’aumento della pensione perché si sarebbe pensionato ante 1992. Mentre, è pacifico, lo stesso INPS riconoscerebbe l’aumento pensionistico al collega del ricorrente che si fosse per ipotesi ammalato oggi stesso, pur essendo andato in pensione il giorno dopo il 28.4.1992.
Ad avviso di questo giudice tutto ciò risulta in aperto contrasto con l’art. 3 Cost. che non consente di poter differenziare il trattamento di un lavoratore ammalato a seconda che sia andato in pensione prima o dopo il 28.4.1992. Soprattutto non è giusto trattare differentemente due casi così simili come appunto quelli di due lavoratori colpiti da una malattia che è sopravvenuta per entrambi a lunga distanza dell’entrata in vigore della stessa legge 257/1992, e per il solo fatto che uno dei due abbia conseguito la pensione prima e l’altro dopo il 28.04.1992; quando il conseguimento della pensione è un fatto totalmente neutro sia rispetto alla malattia, sia rispetto alla tutela che è accordata dalla legge.
7. Si ripete che la stessa tutela prevista dall’art. 13, comma 7 è tutt’ora vigente, nonostante le modifiche introdotte nella legislazione, e non è soggetta a termine di decadenza; per cui anche domani la stessa tutela (ad oltre 15 anni dalla sua entrata in vigore) dovrebbe essere applicata nei confronti di chi subisca una malattia correlata all’asbesto e risulti pensionato da oltre 15 anni; ma difficilmente si potrà riconoscere con fondatezza che quel beneficio, che la legge gli riconosce comunque ancora oggi, dopo tanto tempo, venga accordato per rimediare alla crisi occupazionale del settore amianto.
8. Tutto ciò non solo è irrazionale e discriminatorio ai sensi dell’art.3, comma 1 Cost., ma sembra anche in contrasto con i doveri inderogabili di solidarietà sociale ed umana solennemente proclamati nell’art. 2 della Costituzione apparendo anzitutto disumano a questo giudice che vi siano in Italia lavoratori ammalati d’amianto che non vengano riconosciuti dall’ordinamento come “lavoratori esposti all’amianto” ai fini della maggiorazione previdenziale in discorso, solo perché sono andati in pensione prima della legge 257/1992 e pur avendo contratto la malattia dopo la legge (come altri loro colleghi lavoratori pensionatisi dopo); e non si può pensare perciò che la Costituzione italiana possa tollerare questa assurda discriminazione, anche perché fino a quando esistono casi del genere non può esistere vera solidarietà sociale ai sensi dell’art.2 Cost.; e non può neanche esistere che gli inclusi nel trattamento previsto dalla legge possano sentirsi soddisfatti di fronte a chi sarebbe stato escluso dalla legge in modo così irrazionale, perché dalla sperequazione non può mai nascere un sentimento di vera solidarietà sociale.
9. Nell’ipotesi in cui la Corte Costituzionale dovesse riaffermare il “carattere approssimativo della normativa rispetto ai fini perseguiti” ( così sentenza 434/2002) e ritenere che anche i benefici previsti per i lavoratori ammalati dell’amianto debbano partecipare della stessa logica attribuita ai benefici contemplati nell’art.13, comma 8° l.25/1992 con la sentenza 434/2002 ovvero debbano essere riconosciuti solo ai lavoratori andati in pensione dopo la legge 257, perché si suppone che solo essi abbiano patito un preteso danno occupazionale; allora questo giudice deve risollevare la questione di costituzionalità in relazione a questa diversa prospettiva, anche alla luce della normativa sopravvenuta nelle more della precedente eccezione di costituzionalità (art.18, 8°comma l. 31.7.1992 n.179 e legge 326/2003) .
Non può condividersi infatti l’affermazione secondo cui i benefici in questione abbiano il solo ed esclusivo fine di agevolare l’esodo dei lavoratori del dimesso settore amianto e non possono partecipare anche, quanto meno in via concorrente, di una diversa finalità di natura compensativa, atta ad attrarre nell’orbita dei destinatari del beneficio anche i lavoratori esposti pensionati ante 1992.
Va considerato in questa stessa direzione che il beneficio in questione è stato già concesso a circa 150.000 lavoratori e che la quasi totalità degli stessi lavoratori non appartengono al settore amianto che “rischiavano di perdere il posto di lavoro”, come ha ritenuto dovesse essere la Corte Costituzionale nella sentenza del 434/2002. A Ravenna il beneficio è stato accordato in sede amministrativa e giudiziaria a qualche migliaio di lavoratori e nemmeno uno di questi lavoratori (portuali, chimici, metalmeccanici, delle centrali elettriche, degli zuccherifici; ecc.) ha mai rischiato di perdere il posto di lavoro; si tratta infatti di lavoratori che dopo l’abolizione dell’uso dell’amianto hanno continuato ad operare in settori dove l’amianto è stato sostituito con altre sostanze (continuando perciò a produrre prodotti chimici, zucchero, elettricità, a scaricare sacchi e merci presso il porto, ecc.); e non avevano perciò bisogno di essere agevolati ad alcun esodo.
10. Tutt’altro; gli stessi lavoratori hanno dovuto semmai difendersi dalle pretese dell’imprese di tenerli al lavoro, come conferma anche l’art.18, 8° comma della legge 31.7.2002 n.179 sulle certificazioni Inail, che ha riconosciuto validità alle certificazioni amministrative emesse sulla base dei tavoli tecnici del ministero; com’è noto la finalità di questa legge (che, caso più unico che raro, ha riconosciuto per la legge la validità di atti amministrativi) è stata quella di far cessare le opposizioni e le resistenze che le imprese avevano frapposto sotto vari aspetti contro i provvedimenti ministeriali (atti d’indirizzo sulla cui base venivano emesse le certificazioni INAIL) impugnandoli davanti al Tar Lazio e al Consiglio di Stato, proprio allo scopo di impedire che i lavoratori potessero lasciare il posto di lavoro con il conseguimento dei benefici previdenziali.
Alla base di questo provvedimento di legge allora non vi è dunque alcuna “difficoltà di mantenere il posto di lavoro o di trovarne un altro”. Al contrario, i lavoratori volevano abbandonare il posto, mentre le imprese volevano tenerli al lavoro e hanno promosso addirittura delle cause per cercare di trattenerli quanto più a lungo possibile al lavoro.
Si tratta perciò di una ratio esattamente opposta a quella che si è sempre supposta come esistente a fondamento dell’art.13 della legge 257/1992, e nonostante le esplicite modifiche introdotte nel corpo originario di questa disposizione, con apposito emendamento introdotto alla Camera dei Deputati in sede di conversione del decreto legge 169/93, con la legge 271/93 che ha eliminato quella parte della norma che delimitava la platea dei destinatari in relazione all’appartenenza dell’impresa al c.d. settore amianto; e su cui fanno fede i lavori parlamentari (vedi resoconto della seduta della Camera dei Deputati 12-14.7.1993, i quali attestano come gli emendamenti, appositamente introdotti dalla Camera ed illustrati dal relatore on. Morgando, fossero intesi – senza alcuna esitazione - a “far sì che per tutti i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni l’intero periodo lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria sia moltiplicato per il coefficiente di 1,5”). Di più risulta dai lavori preparatori che tutti i deputati intervenuti nel dibattito hanno attribuito lo stesso significato alla norma, richiamando il grave rischio alla salute che hanno corso i lavoratori; rammaricandosi piuttosto del limite di dieci anni; ricordando che la sostanza non ha limite di soglia; richiamando tutte le malattie asbesto correlate; ripromettendosi di intervenire in favore di altre lavorazioni usuranti; senza mai sostenere che il beneficio fosse esclusivamente limitato ai soli lavoratori in difficoltà occupazionali ovvero appartenenti a specifiche aree merceologiche .
Proprio per impedire che si realizzasse questo risultato il legislatore è perciò intervenuto più volte; per affermare sempre che tutti i lavoratori esposti all’amianto, seppur non aventi difficoltà occupazionale, avessero comunque diritto alla rivalutazione contributiva per l’amianto (legge 271/1993); e per affermare che le certificazioni loro rilasciate dall’INAIL dovessero considerarsi valide quale che fosse il settore di riferimento, nonostante le imprese si opponessero al turn over dei lavoratori interessati ( legge179/1992).
11. Di più vi è che oggi la medesima logica compensativa è stata posta alla base della nuova normativa introdotta con la legge 326/2003 (di conversione dell’art. 47 del decreto legge 30.9.2003 n. 269); normativa che, come già detto, vale solo dall’1.10.2003 per esposti ultradecennali e non per lavoratori ammalati; ma che nondimeno occorre pur tener presente nella prospettiva di una coerente ricostruzione sistematica, sopratutto quando si ragiona attorno alla ratio di una normativa di favore come questa (e tanto più perché la giurisprudenza qui criticata ha sempre accomunato le due discipline sotto una medesima ratio) .
Ebbene nella nuova normativa è espressamente detto che il beneficio previdenziale in questione non serva per il conseguimento della pensione ma ai soli fini dell’importo della pensione, per concedere un aumento della pensione. La nuova normativa stabilisce infatti che il beneficio della rivalutazione contributiva di cui all’art. 13, 8° comma a decorrere dal 1° ottobre 2003 “si applica ai soli fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime”; con ciò riconoscendo che lo stesso beneficio possiede (quantomeno) una co-essenziale finalità di natura compensativa risarcitoria e non già la esclusiva finalità di incentivare l’esodo o di rimediare a crisi occupazionali o di allontanare qualcuno da un pericolo già consumato; tant’è che sulla scorta della stessa normativa viene congelato l’effetto dei contributi maturati in virtù dell’esposizione ai fini dell’accesso a pensione; e diventa necessario per il lavoratore rimanere in servizio, ancora, a tutt’oggi, fino a quando non maturi autonomamente i prescritti requisiti di anzianità contributiva (oltre che anagrafica) per accedere al pensionamento di anzianità o di vecchiaia; e poter utilizzare poi i benefici amianto ed ai soli fini della misura della prestazione.
Anche la nuova normativa conferma perciò che tutti i lavoratori che siano stati riconosciuti esposti all’amianto possano ottenere il beneficio ai soli fini dell’incremento della prestazione pensionistica, senza che vi siano ostacoli di sorta in ragione del loro status di pensionati al momento dell’entrata in vigore della normativa.
Non vi è alcun criterio logico e di giustizia che consenta oggi di poter distinguere i lavoratori che siano andati in pensione dopo il decreto legge 269/2003, da tutti quelli che siano andati in pensione in precedenza (ivi compresi quelli andati in pensione ante l. 257/92), dal momento che ciascuno di essi potrebbe godere dell’aumento contributivo “ai fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche” disposto con la nuova norma ed avendo tutti costoro corso lo stesso rischio essenzialmente nel passato, prima dell’entrata in vigore della normativa . Sicché non ha nessuna giustificazione razionale e logica ai sensi dell’art. 3, 1° comma Cost. voler continuare a negare la medesima rivalutazione contributiva di cui all’art.13, comma 7 a chi fosse andato in pensione prima della legge 257/1992, come al ricorrente in questo giudizio.
12. E’ evidente infatti che ciò rappresenterebbe una grave sperequazione anche in considerazione del fatto che tutta la giurisprudenza (di merito, di legittimità, ed anche costituzionale) quando si riferisce ai lavoratori esposti in attività ha sempre, in maniera unanime, affermato la natura compensativa del beneficio. In tali termini si è sempre espressa la Corte di Cassazione fin dalla sentenza 4913/2001.
E la stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto in almeno due occasioni la stessa ratio compensativa come fondativa del beneficio in discorso; e ciò sia con la sentenza del 12.1.2000 n. 5 in materia di determinatezza della fattispecie; e poi con la sentenza del 22 aprile 2002, n. 127 in materia di lavoratori addetti alla Ferrovie dello Stato.
Proprio all’interno della sentenza n.127/2002 ( pronunciata solo pochi mesi prima della sentenza 434/2002) la Corte Costituzionale si era soffermata sul significato e sulla portata della precedente sentenza n. 5 del 2000; ed aveva ribadito quanto osservato nella prima sentenza, ovvero "che la norma censurata - nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 169 del 1993) della locuzione «dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse» - conferisce essenziale rilievo, ai fini dell’applicazione del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori alla assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro".
Sicché la stessa Corte Costituzionale osservava che “ Coerentemente con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative che hanno preceduto l’approvazione del testo attuale del comma 8 dell’art. 13, lo scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene».
13. Va poi considerato che nella sentenza n.434 del 31 ottobre 2002, con cui ha negato l’applicazione del beneficio ai pensionati, la Corte Costituzionale ha sostenuto di non aver mai riconosciuto il carattere compensativo del beneficio: “Né è vero che questa Corte, nella sentenza n.5 del 2000, abbia affermato il carattere risarcitorio del beneficio in esame escludendo che esso abbia invece la principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto di ottenere il diritto alla pensione”.
Su questo rilievo però è sufficiente richiamare le parole della stessa Corte Costituzionale dell’11 aprile 2002 n. 127 allorché, proprio a proposito dell’ambito di applicazione soggettivo della norma, osservava come esistano “plurimi elementi esegetici, i quali portano a ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale, tutti i lavoratori esposti all’amianto, in presenza, beninteso, dei presupposti fissati dalla disposizione stessa, secondo quanto evidenziato dalla già ricordata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000. Presupposti richiesti proprio perché la legge n. 271 del 1993 ha voluto tener conto della capacità dell’amianto di produrre danni sull’organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione dell’anzianità contributiva in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa svolta.”
Del resto che quello sopraindicato fosse il reale contenuto delle sentenze rese nella materia dalla Corte Cost. non era stato affermato solo da qualche giudice di merito; bensì dopo la sentenza n. 5/2000 della Corte Cost. da tutta la giurisprudenza di legittimità, all’unanimità. A partire da Cass.4913/2001 che, proprio a proposito dell’avvenuta modifica della norma e dell’allargamento del beneficio oltre il settore amianto, evidenziava come nel corso del dibattito parlamentare si “segui una soluzione che, tenendo conto della capacità di produrre danni in relazione al tempo di esposizione, consente una maggiorazione dell’anzianità contributiva per tutti i dipendenti che siano stati esposti all’amianto per più di dieci anni”. Sicché individuava la ratio dell’attribuzione del beneficio in chiave di “attuazione dei principi di solidarietà di cui è espressione l’art.38 Cost. – in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa spiegata”.
E di analogo tenore sono state le tesi espresse da Cassazione 2926/2002; 10979/2002; 10114/2002; 7048/2002. Quest’ultima sentenza in particolare nota :“ questa Corte ha avuto modo di chiarire, attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla pronuncia 12 gennaio 2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della non fondatezza delle questioni di costituzionalità della norma in oggetto, sollevate in riferimento agli art. 3 e 81 Cost., che la eliminazione, ad opera della legge di conversione n. 271 del 1993, del riferimento - contenuto sia nel testo originario del comma 8 dell'art. 13, sia in quello sostituito dal d.l. n. 169 del 1993 - ai "dipendenti delle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia significativa dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del datore di lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità all'avvenuta ultradecennale adibizione del lavoratore ad attività soggette all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'amianto”.
Tant’è che la stessa Cass. 7048/2002 conclude esplicitamente : “Destinatari della disposizione in esame non sono, dunque, i lavoratori che abbiano perso - o siano esposti al rischio di perdere - il posto di lavoro di conseguenza della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì, come si è detto, i lavoratori, quale che sia l'attività produttiva dell'Impresa datrice di lavoro, che abbiano subito una esposizione "qualificata" all'amianto”.
14. Tutto ciò va ricordato in quanto non è possibile ammettere sul piano costituzionale che una stessa normativa, quando è riferita ai lavoratori in attività, venga interpretata ed applicata in sede amministrativa e giurisdizionale come confermativa di una ratio di natura compensativa; mentre, quando viene applicata ai lavoratori pensionati ante l. 257/1992, venga interpretata come espressione di una ratio diversa ed opposta, tale da negare l’attribuzione del benefico che applicando la prima ratio dovrebbe essere invece riconosciuto anche ai pensionati.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art.13,comma 7° della legge 257/92 (come modificato dalla legge 271/93) in relazione agli artt. 3,1° comma e 2 della Costituzione, nella parte in cui nega che spetti l’erogazione del beneficio della rivalutazione contributiva ai lavoratori affetti da malattia cagionata da esposizione all’amianto che si trovassero in pensione al momento dell’entrata in vigore della legge 257/1992 (28.4.1992).
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del giudizio in corso.
Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri e di darne comunicazione al Presidente del Senato e al Presidente della Camera ed alle parti del presente giudizio.
Ravenna 10.7.2007
Il giudice
dott. Roberto Riverso