Secondo
la Corte costituzionale i benefici previdenziali per l’esposizione ad amianto non
si applicano ai lavoratori già pensionati all’epoca dell’entrata in vigore
della legge n. 257/92; secondo il Tribunale di Ravenna, sì e motivatamente.
I
Corte
Costituzionale 31 ottobre 2002, n. 434 (ud.
21 ottobre 2002) – Pres. Ruperto – Red. Amirante – Gamberini ed altro c. Inps
(avv. Riccio)
Benefici
di supervalutazione dell’anzianità contributiva per esposizione ad amianto
- Questione di costituzionalità per la
negazione giurisprudenziale nei confronti di coloro già titolari di pensione di
anzianità (o vecchiaia) prima del 28 aprile 1992 (data di entrata in vigore
della L. n. 257/92) - Infondatezza –
Presupposti richiesti dall’art. 13, 8 comma, l. n. 257/92: esposizione
ultradecennale unitamente alla natura qualificata della medesima per concentrazione
d’amianto oltre determinati limiti,
superati i quali acquista potenzialità morbigene.
L’espressione “ai fini delle prestazioni pensionistiche”
rinvenibile nell’art. 13 , comma 8, della L. n. 257/92 deve esser letta come
riferentesi alle prestazioni pensionistiche da conseguire e cioè come
sostanzialmente equivalente a quella originaria codificata nella stessa legge –
prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 271 del 1993 - ove era più
chiaramente stabilito che il beneficio valeva “ai fini del conseguimento delle
prestazioni pensionistiche...”, cioè a dire di quelle ancora da maturare, con
esclusione implicita per quelle già maturate, come desumibile da attenta
ricognizione dei lavori parlamentari che sul punto documentano non essersi
voluta introdurre alcuna sostanziale modificazione innovativa.
L’affermazione effettuata dalla sentenza n. 5 della Corte,
in base alla quale la norma dell’art. 13, 8 comma, L. n. 257/92 non fu
ritenuta incostituzionale per supposta
indeterminatezza della platea dei beneficiari, discese dal fatto che tale eventualità venne esclusa in ragione
del duplice requisito selettivo
costituito dalla fissazione del tempo di esposizione all'amianto – oltre un
decennio – unitamente a quella del limite superato il quale la concentrazione
dell'amianto aveva potenzialità morbigene (limite
che sembra rinvenibile, secondo la ricostruzione storica del processo di
formazione della legge ad opera della Consulta, nel superamento dei valori
fissati dal d. lgs. n. 277 del 1991, n.d.r.).
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13,
comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione
dell'impiego dell'amianto), come modificato dalla legge 27 marzo 1993, n. 271 –
recte: come modificato dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno
1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto),
convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271 – e dell'art.
80, comma 25, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2001), promosso con ordinanza del 18 dicembre 2001 dal Tribunale di Ravenna nel
procedimento civile vertente tra Gamberini Roberto ed altro e l'INPS, iscritta
al n. 59 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 2002.
Visti l'atto di costituzione
dell'INPS nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 2002 il Giudice
relatore Francesco Amirante;
uditi l'avvocato Alessandro Riccio per l'INPS e l'avvocato
dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.— Nel corso di un giudizio nel quale due ex dipendenti
della Compagnia portuale di Ravenna, ai quali la pensione di anzianità era
stata liquidata con decorrenza 1° maggio 1987, avendo ricevuto dall'INAIL
l'attestazione di esposizione all'amianto per oltre un decennio, hanno chiesto
il riconoscimento del beneficio della rivalutazione contributiva di cui
all'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, il Tribunale di
Ravenna, con ordinanza del 18 dicembre 2001, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale del citato art. 13, comma 8, della legge 27 marzo
1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come
modificato dalla legge 27 marzo 1993, n. 271 – recte: come modificato dall'art.
1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i
lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con modificazioni, nella
legge 4 agosto 1993, n. 271 – e dell'art. 80, comma 25, della legge 23 dicembre
2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui, secondo la
giurisprudenza della Corte di cassazione, non stabiliscono che l'erogazione del
beneficio della rivalutazione contributiva ivi prevista spetti ai lavoratori
esposti all'amianto per oltre un decennio che fossero già pensionati al momento
dell'entrata in vigore della citata legge n. 257 del 1992.
Il Tribunale remittente, dopo aver precisato che da un atto
di indirizzo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 20 aprile
2000 risulta che per i lavoratori portuali l'esposizione all'amianto attraverso
manipolazioni dirette ha avuto inizio alla data della relativa assunzione
(coincidente con l'iscrizione nei registri portuali) e si è conclusa prima
della entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, essendo cessata il 31
dicembre 1990, fa una serie di considerazioni relative all'uso nocivo
dell'amianto, ai progressi della scienza medica al riguardo, alla relativa consapevolezza
dimostrata dalla Comunità europea fin dal 1983 (direttiva del Consiglio n.
83/477/CEE) ed al ritardo dell'Italia nel dare attuazione alla suddetta
direttiva, avendo il nostro Paese provveduto a tale doverosa incombenza solo
con il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, emanato dopo una condanna
subita da parte della Corte di giustizia CEE (sentenza 13 dicembre 1990, n.
240).
In tale situazione, anche in considerazione dell'inclusione,
da parte della giurisprudenza della Corte di cassazione, nella platea dei
destinatari del beneficio de quo di tutti i soggetti ancora inseriti nel mondo
del lavoro alla data di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992,
qualunque fosse il loro stato occupazionale del momento (di occupato nel
settore dell'amianto, di disoccupato, di sospeso ovvero di occupato in un
settore diverso), a prescindere dall'attualità dell'esposizione, così come
addirittura dei titolari di pensione o assegno di invalidità (sul presupposto
del mantenimento da parte loro di una residua capacità lavorativa), non si
comprende come mai la stessa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, abbia
sempre escluso l'applicabilità del beneficio di cui si tratta nei confronti di
coloro che al momento dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992
fossero già titolari di pensione di anzianità (come gli attuali ricorrenti)
ovvero di vecchiaia.
Osserva il remittente che diverse sono le censure che
possono essere mosse non solo al più volte citato art. 13, comma 8, della legge
n. 257 del 1992, interpretato nel senso suindicato, ma anche all'art. 80, comma
25, della successiva legge n. 388 del 2000, che dello stesso art. 13, comma 8,
fornirebbe indiretta interpretazione autentica.
Le suddette disposizioni si pongono, infatti, in contrasto
con i parametri invocati in primo luogo perché, in violazione del principio di
eguaglianza, riservano ai soggetti già pensionati di cui si è detto un
trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto agli altri soggetti che si
ritengono compresi fra i destinatari del beneficio di natura previdenziale in
argomento, pur essendo stata accertata nei loro confronti la medesima
situazione di rischio.
Sarebbe, inoltre, ravvisabile un contrasto con il principio
di razionalità e coerenza normativa di cui all'art. 3 della Costituzione in
quanto, se il contenuto precettivo delle disposizioni impugnate fosse quello
loro attribuito dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, esse sarebbero
in conflitto con la loro stessa ratio – da individuare, anche secondo quanto
affermato da questa Corte nella sentenza n. 5 del 2000, nella volontà del
legislatore di offrire un indennizzo a tutti i lavoratori che sono stati
esposti ad un rischio ritenuto morbigeno – perché si finirebbe "per negare
lo stesso indennizzo ad una circoscritta categoria di soggetti che hanno subito
la stessa esposizione parimenti morbigena per motivi di lavoro" di coloro
del cui diritto non si dubita.
Con specifico riguardo all'art. 80, comma 25, della legge n.
388 del 2000, il remittente precisa, inoltre, che tale norma si porrebbe in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione anche ove stabilisce che non si fa
luogo al recupero, da parte dell'INPS, degli importi oggetto di ripetizione di
indebito nei confronti dei titolari di pensione interessati al beneficio, in
conseguenza della rinuncia all'azione da parte del pensionato e dell'estinzione
del relativo procedimento. Tale norma sembrerebbe, infatti, configurare solo
per tali soggetti "una forma indiretta di coazione a rinunciare alla
prosecuzione del giudizio".
Nell'ordinanza si sostiene infine che, come è già stato
sottolineato nella citata sentenza di questa Corte n. 5 del 2000, e non è stato
considerato invece dalla giurisprudenza ordinaria che si contesta, la legge n.
257 del 1992 ha una copertura finanziaria che non è dei soli 72 miliardi di
lire previsti nel d.l. n. 169 del 1993 ma anche dei 110 miliardi di lire
originariamente stanziati dall'art. 13, comma 12, della legge n. 257 medesima.
Detto questo, se si pone un problema di sufficienza di questa copertura, esso
non può valere solo per una categoria di soggetti (i pensionati di anzianità al
momento dell'introduzione del beneficio) ma, caso mai, deve porsi per tutti
coloro che hanno titolo ad essere destinatari del beneficio, non potendo,
secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 136 del 2001,
l'esigenza del contenimento della spesa "autorizzare un uso sperequato e
discriminatorio della discrezionalità normativa che sconfini nella aperta
violazione di altri principi cardine dell'ordinamento costituzionale".
2.— Nel giudizio davanti alla Corte è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, che ha concluso chiedendo, anche in una memoria aggiunta,
che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.
La difesa erariale, dopo aver osservato che il remittente
pone in realtà in discussione scelte di politica sociale riservate alla
discrezionalità del legislatore, sottolinea che la ricostruzione interpretativa
della normativa impugnata operata dalla giurisprudenza della Corte di
cassazione, a partire dalla sentenza n. 6605 del 1998, cui il Tribunale di
Ravenna si oppone, è invece da considerare quella maggiormente conforme al dato
letterale, sistematico e teleologico delle disposizioni impugnate. E', infatti,
da ritenere che il legislatore abbia concepito il beneficio contributivo in
discussione come meccanismo diretto a facilitare il raggiungimento dei
requisiti assicurativi necessari per l'accesso al pensionamento e non come
strumento finalizzato ad incrementare i trattamenti pensionistici già erogati
al momento dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992. Questa è l'unica
interpretazione della disposizione di cui all'art. 13, comma 8, della citata
legge n. 257 del 1992, attualmente impugnato, che risulti armonica rispetto ai
precedenti commi 2 e 7 dello stesso art. 13 ed è anche l'interpretazione su cui
poggia la copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione che ha
legittimamente diversificato il trattamento da attribuire ai soggetti già
titolari di pensione di anzianità e di vecchiaia rispetto ai titolari di
assegno e pensione di invalidità. Soltanto a questi ultimi è stata riconosciuta
la possibilità di avvalersi della rivalutazione contributiva de qua in quanto
solo ad essi può essere riconosciuta una residua capacità lavorativa, con
l'esigenza di incrementare l'anzianità contributiva per conseguire le
prestazioni di vecchiaia.
La suddetta interpretazione la quale, quindi, esclude che il
beneficio contributivo di cui si tratta possa essere attribuito a tutti i
soggetti che comunque, nel corso della loro vita lavorativa, siano stati
esposti ad inalazione di fibre di amianto, è stata confermata ed arricchita di
ulteriori argomenti dalla Corte di cassazione anche dopo la sentenza
costituzionale n. 5 del 2000 (v. per tutte Cass. 3 aprile 2001, n. 4913) ed è
l'unica che risulta coerente con la copertura di spesa predisposta dal
legislatore in materia. Va, infatti, considerato al riguardo che, allo stato,
hanno ottenuto il riconoscimento dell'esposizione ultradecennale all'amianto
42.000 lavoratori, di cui 10.108 attivi al momento della entrata in vigore
della citata legge n. 257 del 1992, mentre risultano presentate circa 132.000
domande di riconoscimento di esposizione all'amianto. Da ciò si desume che, in
considerazione della platea dei potenziali interessati, una eventuale pronuncia
di illegittimità costituzionale della normativa impugnata determinerebbe
"rilevanti maggiori oneri a carico della finanza pubblica".
L'Avvocatura dello Stato sostiene, infine, la natura meramente interpretativa
della questione in argomento.
3.— Si è costituito l'INPS che ha concluso chiedendo che la
questione sia dichiarata manifestamente infondata.
L'Istituto sottolinea che la norma di cui all'art. 13, comma
8, della legge n. 257 del 1992 deve essere riguardata nell'ambito della logica
dei prepensionamenti, come ritenuto fin dalle sue prime pronunce in argomento
dalla Corte di cassazione. Interpretare la norma in modo diverso vorrebbe dire
non solo snaturare la ratio legis – consistente nella introduzione di un
meccanismo diretto a favorire il pensionamento dei lavoratori esposti
all'amianto – ma significherebbe anche attribuire un identico trattamento a
situazioni disomogenee, come ha lucidamente sottolineato la stessa Corte di
cassazione nella sentenza n. 12524 del 2001, nella quale si è fra l'altro
ritenuta manifestamente infondata una questione di costituzionalità analoga a
quella attualmente sollevata richiamandosi il principio, ormai consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "non può contrastare con
il principio di uguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa
categoria di soggetti ma in momenti diversi nel tempo perché lo stesso fluire
di questo costituisce di per sé un elemento diversificatore".
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale di Ravenna, nel corso di un giudizio civile
per la riliquidazione della pensione di anzianità promosso contro l'INPS da due
lavoratori portuali collocati in quiescenza il 30 aprile 1987 ed in possesso
dell'attestazione dell'INAIL di essere stati esposti alle polveri di amianto
per oltre un decennio, ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, primo comma,
e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257
(Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato
dall'art. 1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 ( Disposizioni
urgenti per i lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con
modificazioni, nella legge 4 agosto 1993, n. 271, e dell'art. 80, comma 25,
della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), in quanto
dette norme, come costantemente interpretate dalla giurisprudenza della Corte
di cassazione, non prevedono che spetti ai soggetti già titolari di pensione di
anzianità o di vecchiaia al momento di entrata in vigore della legge n. 257 del
1992 (28 aprile 1992) il beneficio contributivo di cui al citato art. 13, comma
8, della stessa, consistente nella moltiplicazione, ai fini delle prestazioni
pensionistiche, per il coefficiente di 1,5 dell'intero periodo lavorativo
soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali
derivanti dall'esposizione all'amianto.
Secondo il remittente il beneficio oggetto del giudizio a
quo ha natura di indennizzo del pericolo corso dai lavoratori per essere stati
esposti all'amianto per il periodo indicato; la moltiplicazione per il
coefficiente di 1,5, ai fini delle prestazioni pensionistiche, dell'intero
periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto atterrebbe quindi al bene
salute e non costituirebbe un'agevolazione all'esodo dei lavoratori impiegati
in attività comportanti l'uso dell'amianto. Ciò, secondo l'opinione del
remittente, è stato già affermato da questa Corte nella sentenza n. 5 del 2000
e successivamente dalla giurisprudenza ordinaria (Cass. 3 aprile 2001, n.
4913).
Una volta identificata nel senso suindicato la ratio del
citato comma 8 dell'art. 13 della legge n. 257 del 1992, la inapplicabilità del
beneficio ai lavoratori già fruenti della pensione di vecchiaia o di anzianità
sarebbe irragionevole perché si risolverebbe nel praticare un trattamento
ingiustificatamente deteriore a soggetti che si sono trovati nella medesima
situazione di coloro ai quali esso si applica e contrasterebbe quindi con il
principio di eguaglianza – art. 3 Cost. – nonché con l'art. 38, secondo comma,
Cost., in quanto tali soggetti percepirebbero una prestazione previdenziale
insufficiente.
L'illegittimità costituzionale del citato art. 13, comma 8,
comporterebbe anche quella dell'art. 80, comma 25, della legge n. 388 del 2000
il quale stabilisce, in caso di rinuncia all'azione, l'estinzione dei giudizi
aventi ad oggetto la domanda di riliquidazione della pensione proposta dai
soggetti già pensionati al momento dell'entrata in vigore della prima norma, la
compensazione delle spese e l'irripetibilità delle somme loro indebitamente
erogate a tale titolo; norma quest'ultima che sembra contenere un'indiretta
interpretazione autentica della prima e costituisce un'illegittima coazione nei
confronti dei soggetti già pensionati a non far valere i propri diritti.
2.— Si rileva, in via preliminare, che le eccezioni di
inammissibilità sollevate dall'Avvocatura dello Stato non possono essere
accolte.
Non vale, infatti, nel caso in esame, invocare la
discrezionalità legislativa perché il giudice remittente censura di
irragionevolezza proprio la scelta operata dal legislatore, adducendone il
contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
Quanto alla rilevanza è sufficiente osservare che dall'ordinanza
di remissione risulta che i soggetti attori nel giudizio a quo godevano della
pensione di anzianità da circa cinque anni prima dell'entrata in vigore della
legge n. 257 del 1992.
3.— La questione non è fondata.
E' necessario ripercorrere l'iter degli interventi
normativi, comunitari e nazionali, che si sono succeduti in materia di
progressiva riduzione e di finale eliminazione dei rischi derivanti dall'uso
dell'amianto, a partire dalla direttiva CEE n. 477 del 19 settembre 1983.
Nelle considerazioni premesse all'articolato, mentre si dava
atto della nocività dell'amianto, si rilevava nel contempo che erano numerose
le situazioni di lavoro in cui tale agente nocivo era presente; che le
conoscenze scientifiche dell'epoca non consentivano di stabilire il livello al
di sotto del quale non vi fossero più rischi per la salute, rischi da ritenere
comunque proporzionati al tipo di lavorazione, al correlativo grado di
concentrazione dell'amianto e ai tempi di esposizione.
Sulla base di tali considerazioni, il provvedimento dettava
una serie di disposizioni dirette, anzitutto, ad accertare, mediante le
opportune notifiche da parte delle imprese, le lavorazioni comunque comportanti
l'uso dell'amianto ed i livelli di concentrazione e ad ottenere la eliminazione
di un certo tipo di lavorazione (applicazione dell'amianto a spruzzo: art. 5),
l'adozione di misure concernenti le modalità di svolgimento delle lavorazioni,
la protezione degli ambienti in cui si svolgevano, ed, infine, l'accertamento
delle condizioni di salute dei lavoratori e la dotazione di idonei
equipaggiamenti individuali, qualora non fosse stato possibile eliminare
altrimenti i rischi.
A tale direttiva gli Stati membri avrebbero dovuto dare
attuazione entro il 1° gennaio 1987, ad esclusione delle attività estrattive
dell'amianto per le quali era previsto un termine più lungo.
Poiché l'Italia non aveva adottato i provvedimenti dovuti,
la Corte di giustizia delle Comunità europee, a seguito di procedura di
infrazione promossa dalla Commissione, con sentenza 13 dicembre 1990, n. 240,
la dichiarò inadempiente agli obblighi che le incombevano in forza del Trattato
CEE.
Successivamente il Consiglio emise la direttiva n. 382 del
1991 con la quale, nel ribadire la nocività dell'amianto e la sua presenza in
numerose situazioni di lavoro e quindi la necessità di prevederne la
sostituzione con altro materiale non pericoloso o meno pericoloso, vietò, in
aggiunta alla applicazione a spruzzo, altre forme d'impiego del materiale e
indicò nuovi valori limite, pur dando ancora atto che non erano del tutto noti
allo stato delle conoscenze scientifiche le circostanze in cui l'amianto poteva
essere morbigeno e i tempi di insorgenza delle diverse patologie.
Per dare attuazione alla suindicata direttiva n. 477 del
1983 e ad altre concernenti la protezione dei lavoratori contro i rischi
derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il
lavoro, in esecuzione della delega di cui all'art. 7 della legge 30 luglio
1990, n. 212, fu emesso il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, il
quale, tra l'altro, all'art. 31 fissò i valori limite di esposizione alla
polvere di amianto, espressi come media ponderata in funzione del tempo di
riferimento di otto ore.
Fu poi emanata la legge n. 257 del 1992 il cui art. 1, comma
1, individua le finalità con essa perseguite nella dismissione dell'amianto
dalla produzione e dal commercio, nella cessazione dell'estrazione,
dell'importazione, dell'esportazione, dell'utilizzazione di detto materiale e
dei prodotti che lo contengono, nonché nella bonifica delle aree inquinate,
nella ricerca di materiali sostitutivi e nella riconversione produttiva.
L'art. 13 della legge in esame, costituente il capo IV
intitolato "Misure di sostegno per i lavoratori", prevede una serie
di misure di carattere previdenziale: collocamento in cassa integrazione
straordinaria, pensionamenti anticipati per un numero limitato di lavoratori
calcolato in seicento unità, rivalutazione ai fini contributivi del periodo di
lavoro durante il quale i lavoratori fossero stati esposti all'amianto.
Nell'ambito di tali misure fu inserito, al comma 8, il
beneficio di cui si discute nel presente giudizio. Il testo originario della
disposizione era il seguente: "Ai fini del conseguimento delle prestazioni
pensionistiche i periodi di lavoro soggetti all'assicurazione obbligatoria
contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita
dall'INAIL quando superano i dieci anni sono moltiplicati per il coefficiente
di 1,5".
L'ultima parte della disposizione dette luogo ad incertezze
interpretative in quanto si ritenne non chiaro se ad essere soggetto a
rivalutazione mediante moltiplicazione per il coefficiente indicato fosse
soltanto il periodo di lavoro eccedente il decennio, oppure l'intero periodo di
esposizione all'amianto una volta che esso si fosse protratto per più di dieci
anni (cfr. Camera dei deputati, XI legislatura, Assemblea, discussioni,
resoconto della seduta del 12 luglio 1993, intervento del relatore del disegno
di legge n. 2744 di conversione del d.l. n. 169 del 1993).
Il Governo intervenne con decretazione d'urgenza e, dopo un
primo decreto-legge (5 aprile 1993, n. 95) non convertito, fu emesso il d.l. n.
169 del 1993, convertito con modifiche nella legge n. 271 del 1993.
Il testo originario dell'art. 1 del d.l. n. 169 del 1993,
sostitutivo del comma 8 dell'art. 13 della legge n. 257 del 1992, era così
formulato: "Per i lavoratori dipendenti dalle imprese che estraggono
amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione
o sottoposte a procedura fallimentare o fallite o dismesse, che siano stati
esposti all'amianto per un periodo superiore ai dieci anni, l'intero periodo
lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie
professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è
moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di
1,5".
In sede di conversione fu eliminato ogni riferimento al tipo
di attività svolta dalle imprese ed alla situazione in cui esse versassero.
4.— L'esposizione della vicenda legislativa in cui si
colloca la prima delle norme censurate consente di escludere che la ratio della
medesima sia quella, risarcitoria o indennitaria, indicata dal remittente, con
ciò venendo meno lo stesso presupposto della sua asserita illegittimità
costituzionale in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
La legge n. 257 del 1992 ha la sua origine storica nella
direttiva comunitaria n. 477 del 1983 che, sulla base della accertata nocività
dell'amianto, prescriveva l'adozione di una serie di misure finalizzate
all'eliminazione dei rischi derivanti dall'utilizzazione del suindicato
materiale in ogni fase e con qualsiasi modalità di lavorazione (come è reso
palese anche dall'esplicito riferimento alla "cessazione dell'impiego
dell'amianto" contenuto nel suo titolo).
A sua volta, il capo IV della legge stessa, che si esaurisce
nell'art. 13, è intitolato "Misure di sostegno per i lavoratori" e
contiene, come si è detto, altre misure oltre quella in oggetto, quali il
collocamento in cassa integrazione ed i prepensionamenti, riguardanti, per loro
natura, soltanto i soggetti ancora inseriti nel circuito lavorativo e quindi la
sorte del loro rapporto di lavoro in considerazione della difficoltà di
instaurarne altri.
Inoltre, il testo originario del comma 8 dell'art. 13 della
legge n. 257 del 1992 iniziava con l'espressione "ai fini del
conseguimento delle prestazioni pensionistiche…". La necessità di
modificare tale testo sorse non con riguardo a siffatta espressione, bensì,
come si è detto e come risulta con chiarezza dai lavori preparatori alla legge
n. 271 del 1993 (v. Camera dei deputati, XI legislatura, Assemblea,
discussioni, resoconto della seduta del 12 luglio 1993, citato intervento del
relatore del relativo disegno di legge n. 2744), riguardo alla determinazione
del periodo lavorativo oggetto della rivalutazione. Ne consegue che
l'espressione "ai fini delle prestazioni pensionistiche", contenuta
nel testo attuale della norma censurata, deve essere letta come riferentesi
alle prestazioni pensionistiche da conseguire e cioè come sostanzialmente
equivalente a quella originaria.
Tale opinione trova ulteriore conforto in affermazioni
formulate nel corso dei lavori preparatori ed, in particolare, nel passo della
relazione citata in cui la disposizione in questione viene assimilata a quelle
concernenti la cassa integrazione ed i prepensionamenti nonché nella
precisazione effettuata nella successiva discussione in Assemblea secondo cui
il beneficio era diretto ai lavoratori che "per il solo motivo di aver
lavorato l'amianto e per il carattere morbigeno di tale lavorazione non trovano
spazi sul mercato del lavoro, ormai tutto nominativo".
5.— Il giudice remittente sostiene che, se la misura in
questione fosse predisposta ad ovviare alla difficoltà per i lavoratori del
settore amianto di mantenere il posto di lavoro o di trovarne altro, e quindi
ad assicurarne il collocamento in quiescenza, essa non raggiungerebbe lo scopo
in quanto il periodo contributivo di quindici anni – e cioè il minimo garantito
dalla norma in esame – non sarebbe sufficiente per la maturazione del diritto a
pensione. Il giudice a quo sostiene inoltre che questa Corte nella sentenza n.
5 del 2000 ha già affermato la funzione risarcitoria della rivalutazione
contributiva prevista dal comma 8 dell'art. 13 impugnato. Infine, ad avviso del
Tribunale di Ravenna, l'esclusione dei soggetti già pensionati al momento
dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992 non potrebbe essere
giustificata neppure con il rispetto delle esigenze di bilancio, perché tali
esigenze sono state soddisfatte con l'individuazione dei necessari
stanziamenti, come questa Corte ha ritenuto con la sentenza citata.
6.— Nessuna di tali tesi può essere condivisa.
Come si è premesso, gli organi della Comunità ed il
legislatore nazionale si sono trovati a dover dettar norme riguardanti una
materia della quale molti aspetti non erano del tutto noti. Infatti, se da un
lato la nocività dell'amianto era da tempo accertata, non erano – e non lo sono
tuttora – appieno conosciuti le modalità ed i tempi con i quali le polveri di
amianto producono le gravi patologie ad esse riconducibili; d'altro canto,
l'utilizzazione dell'amianto non era ristretta a ben precise categorie di
imprese, sicché non era possibile identificare i beneficiari con riguardo al
tipo di azienda in cui lavorassero o avessero lavorato. Proprio la
consapevolezza che la realtà di fatto delle imprese e delle lavorazioni
comportanti in qualsiasi forma l'uso dell'amianto non era determinabile indusse
il Parlamento all'eliminazione, in sede di conversione, di quella parte della
norma che delimitava la platea dei destinatari del beneficio in relazione
all'appartenenza ad imprese che estraessero o utilizzassero amianto come materia
prima. Da qui il carattere approssimativo della normativa rispetto ai fini
perseguiti, ma non contraddittorio né irragionevole. D'altra parte, come questa
Corte ha affermato, non ogni incoerenza o imprecisione di una normativa può
venire in questione ai fini dello scrutinio di costituzionalità (v., tra le
altre, proprio la sentenza n. 5 del 2000 invocata dal remittente).
Né è vero che questa Corte, nella sentenza n. 5 del 2000,
abbia affermato il carattere risarcitorio del beneficio in esame escludendo che
esso abbia invece la principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti
nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l'uso dell'amianto di
ottenere il diritto alla pensione.
Nello stabilire il significato ed il valore di un precedente
occorre tenere conto del contesto e, soprattutto, identificarne la ratio con
riguardo alla questione oggetto della decisione. Il quesito al quale questa
Corte ha risposto con la sentenza da ultimo richiamata consisteva nello
stabilire se la norma dell'art. 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 come
modificata, avesse descritto una fattispecie sufficientemente determinata, tale
da escludere l'attribuzione all'amministrazione di una discrezionalità così
ampia da rendere possibili trattamenti diversi per casi analoghi o eguale
trattamento di situazioni diverse. La decisione fu positiva nel senso che la
fissazione del tempo di esposizione all'amianto – oltre un decennio –
unitamente a quella del limite superato il quale la concentrazione dell'amianto
aveva potenzialità morbigene induceva a negare la paventata eventualità, senza
alcun riferimento al profilo prospettato dal remittente.
Alla luce di queste considerazioni, l'espressione contenuta
nella sentenza stessa che la norma ha "la finalità di offrire, ai
lavoratori esposti all'amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno
dieci anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di
lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene" non
ha il valore che le attribuisce il remittente. Si può infatti osservare che
proprio la possibilità di contrarre una patologia derivante dall'esposizione
all'amianto rende difficile la collocazione al lavoro delle persone che si
siano trovate nella situazione descritta dalla norma, come fu rilevato anche
nel corso dei lavori preparatori.
Non assume alcun rilievo in senso contrario a quanto si è
esposto la ricomprensione tra i destinatari della disposizione di coloro che,
pur non avendo ancora raggiunto l'anzianità contributiva massima, abbiano
maturato prima dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, anche senza
l'applicazione del beneficio di cui si tratta, i requisiti di contribuzione per
il conseguimento della pensione di anzianità o di vecchiaia e siano stati
collocati in quiescenza in data successiva, atteso che essa trova
giustificazione nel principio generale secondo cui le prestazioni si liquidano
sulla base della legge vigente alla data della liquidazione stessa. La
circostanza che tale inclusione si traduce, così come avverrebbe per i
pensionati attualmente esclusi dalla rivalutazione contributiva, nella
possibilità di ottenere un aumento della misura della pensione e non in
un'agevolazione per il raggiungimento del trattamento pensionistico non è
sufficiente a determinare la necessità di una parificazione di disciplina in
quanto, come più volte è stato affermato da questa Corte, "l'estensione di
agevolazioni a categorie di soggetti non contemplate dalla disciplina di favore
può ritenersi costituzionalmente necessitata solo ove, accertata la piena
omogeneità delle situazioni poste a confronto, lo esiga la ratio della
disciplina invocata quale tertium comparationis" (v. sentenze n.
431 del 1997 e n. 86 del 1985, nonché ordinanza n. 194 del 2000). Nella specie,
tale omogeneità va esclusa in considerazione della diversità di date di
conseguimento del diritto cui si deve fare riferimento per ciascuna delle
categorie di soggetti di cui si tratta e della corrispondenza di tale criterio
discretivo ai principi generali regolatori della materia, corrispondenza che
porta a concludere che il legislatore ha esercitato non irragionevolmente la
discrezionalità che gli compete nella scelta delle modalità di configurazione
dei trattamenti che – come la rivalutazione contributiva in oggetto – abbiano
carattere eccezionale.
Ma ciò
che più conta è che anche nei confronti dei soggetti già in possesso al 28
aprile 1992 dei requisiti per ottenere la pensione di anzianità o di vecchiaia
il beneficio di cui si discute conserva la finalità di incentivare l'esodo dal
mondo del lavoro.
Infine, non è condivisibile l'opinione del giudice a quo
secondo la quale il legislatore avrebbe previsto l'estensione del beneficio ai
soggetti già fruenti della pensione di anzianità o di vecchiaia al momento di
entrata in vigore della legge, indicando le somme occorrenti per provvedervi e
i relativi stanziamenti.
Basta rilevare sul punto che, mentre non risulta che alcuna
indagine preventiva fu svolta riguardo al numero dei lavoratori già pensionati
all'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, il rappresentante del
Governo manifestò perplessità sull'adeguatezza degli stanziamenti qualora fosse
stata eliminata dal decreto la limitazione del beneficio ai lavoratori operanti
in imprese estrattive o che impiegavano l'amianto come materia prima (v. Camera
dei deputati, XI legislatura, Assemblea, discussioni, resoconto della seduta
del 12 luglio 1993, p. 15950 e s.).
7.— La questione non è fondata neppure in riferimento
all'art. 38, secondo comma, della Costituzione.
Questa Corte, infatti, ha più volte escluso che la garanzia
prevista da tale precetto costituzionale possa riguardare le pensioni di
anzianità liquidate, come quelle cui si riferisce il presente giudizio, nel
regime precedente alla riforma introdotta dalla legge 8 agosto 1995, n. 335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), presupponendo
esse la sola maturazione di una determinata anzianità contributiva (v. sentenza
n. 416 del 1999 e ordinanza n. 70 del 2002).
Comunque, pur prescindendo dalla suddetta considerazione,
all'infondatezza della questione si perviene in linea generale anche in base
all'affermazione di questa Corte secondo cui la norma costituzionale di cui si
tratta "esige che il trattamento previdenziale sia sufficiente ad assicurare
le esigenze di vita del lavoratore pensionato; ma nell'attuazione di tale
principio al legislatore deve riconoscersi un margine di discrezionalità, anche
in relazione alle risorse disponibili, almeno quando non sia in gioco la
garanzia delle esigenze minime di protezione della persona" (cfr., ex
multis, sentenza n. 180 del 2001 e ordinanza n. 342 del 2002).
8.—
L'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13,
comma 8, della legge n. 257 del 1992 determina l'infondatezza anche della
questione di costituzionalità concernente l'art. 80, comma 25, della legge n.
388 del 2000, sollevata come derivante dalla illegittimità della prima norma
censurata sotto il profilo che il citato comma 25 ne costituirebbe una
singolare forma d'interpretazione autentica. Infatti, una volta ritenuta la
legittimità costituzionale del citato art. 13, comma 8, interpretato nel senso
che esso esclude dal beneficio i soggetti già pensionati per anzianità o
vecchiaia al momento dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992, viene
meno ogni dubbio sulla legittimità del suindicato art. 80 sotto il profilo che
costituirebbe una coazione alla rinuncia a far valere un diritto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme
relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato dall'art.
1, comma 1, del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni urgenti per i
lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con modificazioni, nella
legge 4 agosto 1993, n. 271, e dell'art. 80, comma 25, della legge 23 dicembre
2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 3,
primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Ravenna
con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2002.
Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2002.
II
Tribunale
di Ravenna (sezione lavoro, 1° grado) 20 aprile 2003 (ud. 26 marzo 2003) –
Giud. Riverso – Serafini Sivano ed altri (avv. ti Miscione, Casadio)
c. INPS – Istituto nazionale della previdenza sociale (avv. Caruso,
Vagliasindi).
Previdenza
sociale – Benefici di maggiorazione contributiva per esposizione ad amianto
– Per coloro che si trovavano già in pensione alla data di entrata in vigore
della l. n. 257/92 – Spettanza – Dissenso dalle argomentazioni di dinego di
cui alla sentenza di rigetto di Corte cost. n. 434/2002 – Argomentazioni.
- In
aderenza a quella componente compensativa del rischio, immanente
nell’applicazione del beneficio introdotto dalla l. n. 257/92, la
rivalutazione contributiva non può essere negata, in virtù di
un’interpretazione conforme a Costituzione, al lavoratore certificato come
esposto dall’INAIL benché pensionato ante legem 257: perché egli
si è trovato nella stessa situazione di rischio (se non in una
situazione peggiore) del collega di lavoro dello stesso settore al quale
l’analogo beneficio dell’incremento della misura della pensione è stato
concesso per effetto dell’identica esposizione (subita nel passato). Ne le due
posizioni a confronto – di soggetti che hanno maturato entrambi
il diritto a pensione prima della legge 257/92 a prescindere dalla stessa
- possono essere differenziate sotto il profilo del fattore temporale; per il
fatto cioè che uno dei due si trovi ancora in attività al momento
dell’entrata in vigore della normativa.
-
Si
è già visto infatti per un verso che il beneficio viene concesso anche a chi
non subisce alcun pregiudizio occupazionale per effetto dell’abolizione
dell’uso dell’amianto ed anche a chi non è occupato al momento della legge
(come ad es. il disoccupato o l’invalido); mentre, per altro verso,
l’esposizione che rileva nella struttura della norma è quella che si è
consumata nel passato.
-
Del
tutto incongruo sarebbe infatti pensare di considerare come elemento
differenziale tra l’uno e l’altro soggetto una potenziale situazione di
esposizione attuale; perché ciò significherebbe anzitutto decretare il
fallimento del sistema di prevenzione introdotto con il d.lgs 277/91.
-
Del
resto proprio secondo l’unanime giurisprudenza l’attualità
lavorativa non è requisito costitutivo del beneficio; tanto che lo stesso
beneficio si applica ai lavoratori già transitati in settori diversi fin da
prima della legge; ai lavoratori disoccupati ed agli invalidi.
Non si spiega dunque come, in base a quale criterio, nell’ipotesi in
cui il beneficio serva a tutti questi lavoratori ai soli fini dell’incremento
della misura della pensione, il fattore tempo possa servire a
differenziare la situazione di chi è al lavoro o è disoccupato dopo la legge
da chi ha cessato il lavoro prima della legge.
- La
tesi secondo cui la legge presuppone un rapporto di lavoro in atto è stata
superata dalla stessa Cassazione allorché ha considerato che il principio
di eguaglianza impone l’estensione del beneficio anche ai lavoratori
disoccupati, a chi ha cambiato azienda, a chi è stato licenziato ed ai
pensionati per invalidità civile (v. espressamente sentenza Cass. n.5746 del
19.4.2001, rel. Menichiello).
L’argomento
secondo cui la norma avrebbe come suo scopo esclusivo,
diretto ed indefettibile di assicurare il “conseguimento della
pensione” ad alcuni lavoratori -
(sempre quelli del settore amianto, per sopperire alla perdita del posto di
lavoro ed allontanarli dal rischio), per cui non si può applicare a chi ha già
la pensione- non resiste ad una semplice verifica logica e sistematica.
- Non
si tiene conto del fatto che il beneficio dell’art.13,comma 8° è stato
pensato per valere sempre, vale cioè sia per il conseguimento della pensione,
sia per la misura della pensione.
- Sotto
questo profilo cioè non si vuole tenere conto del modo in cui è stato
concepito e strutturato il beneficio dalla legge: rapportato al tempo dell’
esposizione; al lavoratore spetta tanta rivalutazione contributiva quanto è il
tempo di esposizione!. Anche se la stessa contribuzione non fosse sufficiente
per far conseguire la pensione (da conseguire più in là); anche se, per
converso, essa fosse invece sovrabbondante rispetto al traguardo rappresentato
dal requisito contributivo minimo necessario per il conseguimento della
pensione, e quindi anche se esso serva solo ad incrementare la pensione (da
conseguire o già conseguita).
- Insomma
nessuna sterilizzazione e decurtazione è possibile; dice la legge: “l’intero
periodo lavorativo .. è moltiplicato
per il coefficiente di 1,5”; “ ai fini delle prestazioni
pensionistiche” (vi sono due, non uno, argomenti testuali nella legge a questo
proposito).
- Va
poi considerato che per negare il beneficio ai lavoratori pensionati si
neutralizza, si mutila, anche il valore normativo specifico, interno alla stessa
disposizione, che discende dall’espressione “ai fini delle prestazioni
pensionistiche”; un’espressione che con carattere di ampiezza e di novità
rispetto all’espressione “ai fini del
conseguimento delle prestazioni pensionistiche”,
utilizzata negli altri commi
della stessa norma (ed anche rispetto alla originaria stesura della legge),
consentirebbe invece
esplicitamente, de plano, la soluzione positiva del riconoscimento del beneficio
per i pensionati (per tutti i pensionati) nei limiti in cui il beneficio possa
esercitare effetti ai fini di incrementare le prestazioni già conseguite.
- Non
meno infondato risulta poi l’ulteriore argomento che si è opposto alla
richiesta dei pensionati, allorché si è pure sostenuto che il beneficio
previdenziale non può essere riconosciuto ai pensionati esposti perché
nell’ipotesi in cui uno di essi avesse già raggiunto il massimo
contributivo…il beneficio non potrebbe essere operativo. L’obiezione
non è fondata nemmeno in diritto perché anche nei confronti del pensionato che
avesse già raggiunto il massimo della contribuzione versata, il riconoscimento
del beneficio legale sarebbe in grado di portare ad un utile risultato
permettendo la liquidazione di un supplemento di pensione (cioè di una quota
aggiuntiva che si somma all’importo già determinato) ex art.7 l. 155/81 (
circ.Inps 259/94).
- Svolgimento
del processo
- Con
il ricorso depositato in atti i ricorrenti indicati in epigrafe adivano questo
giudice contro l’INPS sostenendo di essere stati riconosciuti dall’Inail
quali lavoratori esposti all’amianto per aver lavorato presso il datore di
lavoro indicato in ricorso svolgendo le mansioni ivi elencate; di essere attualmente pensionati con
decorrenza anteriore all’entrata in vigore della legge 257/92; di aver
maturato il diritto alla rivalutazione dei periodi contributivi ai sensi
dell’art.13, comma 8 della legge 27/3/92 n.257 il quale prevede tale beneficio
per i “lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo
superiore a dieci anni...”.
- A
fondamento della domanda i ricorrenti osservavano che l’art.13 della legge
257/92 ha una disciplina composita e preveda una varietà di benefici (“una
diversificata gamma di benefici previdenziali; Corte Cost.n.5/2000) distinti
per natura, presupposti e destinatari; in particolare richiamavano
l’evoluzione legislativa che aveva subito la specifica disposizione del comma
8° dell’art.13, che era stata ad un certo punto novellata con un decreto
legge ( il n.139 del 5.06.93) col quale si faceva riferimento ad una categoria
più ristretta di lavoratori “dipendenti delle imprese che estraggono o
utilizzano amianto come materia prima….”; ricordavano a questo
proposito, che come osservato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 5/2000:
“ In sede di conversione del predetto provvedimento d’urgenza, la
legge 4 agosto 1993, n.271 ha soppresso la locuzione ‘dipendenti dall’
imprese che estraggono o lavorano l’amianto come materia prima, anche se in
corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o
dismesse’, così intendendo soddisfare – secondo quanto si evince dai lavori
preparatori – l’esigenza di attribuire centralità, ai fini
dell’applicazione del beneficio previdenziale all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le
malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo al tempo stesso,
ogni selezione che potesse derivare dal riferimento alla tipologia
dell’attività produttiva del datore di lavoro”; che pertanto non
era possibile sostenere la limitazione del beneficio ai soli lavoratori
appartenenti al c. d. settore amianto ovvero ad astratte categorie
merceologiche, perché il beneficio era stato voluto per tutti i lavoratori
comunque esposti alla sostanza nociva per oltre dieci anni.
- Sulla
scorta di tali premesse, ampiamente illustrate in punto di fatto e di diritto,
la difesa dei ricorrenti chiedeva l’accoglimento delle conclusioni precisate
in epigrafe.
- Con
memoria ritualmente depositata si è costituito in giudizio l’INPS sostenendo
che per ottenere il beneficio previsto dall’art.13, comma 8 cit. non era
sufficiente che i lavoratori avessero subito l’esposizione per oltre dieci
anni all’amianto essendo pure necessario non essere pensionati al momento
dell’entrata in vigore della legge, siccome il beneficio in questione si
rivolgerebbe ai soli lavoratori in attività al fine di agevolarne l’esodo; che pertanto l’Istituto aveva respinto le domande di
accredito del beneficio contributivo e di maggiorazione della pensione avanzate
dai ricorrenti; concludeva pertanto per il rigetto integrale del ricorso.
- La
causa è stata istruita con il deposito di documenti e dopo la discussione
effettuata dalle parti veniva pronunciata la decisione come da separato
dispositivo.
- Motivi
della decisione
- A.
I lavoratori ricorrenti sono andati in pensione prima dell’entrata in vigore
della legge 257/92 ed essendo stati riconosciuti come esposti all’amianto
dall’Inail hanno richiesto il beneficio della rivalutazione contributiva
previsto dal comma 8 dell’art.13 della legge.2571992: il quale
recita nel suo tenore testuale (sostituito dalla legge 4.8.1993 n.271)
: “Per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo
superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto
all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti
dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini
delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”.
- Questo
giudice non condivide l’orientamento della giurisprudenza che nega il
beneficio della rivalutazione contributiva ai lavoratori esposti all’amianto
pensionati prima della legge 257; lo stesso orientamento assegna alla norma il
fine esclusivo di incentivare all’esodo il lavoratore appartenente del dimesso
settore amianto; si tratta di una tesi che risulta in contrasto: con il
contenuto della disposizione risultante dalla legge di modifica 4.8.1993 n.271;
con la volontà del legislatore resa palese dalla lettura dei lavori
preparatori; con la concreta quotidiana applicazione della norma in sede
amministrativa; con l’interpretazione che sulla ratio della
disposizione ha dato la giurisprudenza di merito, di legittimità ed
anche costituzionale; con il sistema normativo e le leggi anche
successive; e, non ultimo, con il sentimento di concreta giustizia che deve
animare ogni giudice nella ricerca dell’interpretazione della norma
maggiormente conforme alla Costituzione.
- B.
La sentenza della Corte
Costituzionale del 21.10.2002 n. 434.
- Sulla
spettanza del beneficio di cui all’art.13, comma 8° della 257/92 ai
lavoratori esposti all’amianto, già pensionati al momento di entrata in
vigore della stessa legge, si è pronunciata recentemente la Corte
Costituzionale con la sentenza n.434/2002.
- La
Corte ha respinto le censure di costituzionalità sollevate in relazione agli
artt.3,1, e 38 della Costituzione contro l’interpretazione dell’art.13,comma
8 che nega il beneficio ai pensionati ed ha riaffermato che questa disposizione
ha la “principale funzione di permettere ai lavoratori coinvolti
nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso
dell’amianto di ottenere il diritto alla pensione”.
- In
sostanza anche la Corte Cost. ha ricollegato il beneficio in questione alla
dismissione dell’amianto disposta con la stessa legge 257; ed ha quindi
sostenuto la tesi che esso abbia la funzione di sopperire alla perdita del posto
o alle difficoltà occupazionali per i lavoratori del
settore amianto e sia pertanto da riconoscere ai soli lavoratori in
attività di servizio a quella data, in determinate aziende, al fine di
agevolarne il prepensionamento.
- Le
sentenze di rigetto della Corte Costituzionale sono, ovviamente, non vincolanti
nei confronti del giudice ordinario, libero di procedere all’interpretazione
delle leggi in vigore
nell’ordinamento positivo e di optare per differenti soluzioni ermeneutiche.
- Ritiene
questo giudice di dover disattendere la decisione della Corte escludendo che
agli argomenti utilizzati possa essere riconosciuta capacità persuasiva.
- Va
infatti osservato che per individuare il fine del beneficio nei termini sopra
indicati la Corte Costituzionale ha utilizzato esclusivamente pretesi argomenti
di natura storica che appaiono di secondaria importanza e, soprattutto, di
valore neutro ai fini della soluzione della stessa questione.
- Invece
di interpretare lo stesso disposto normativo oggetto della censura
(secondo i consueti canoni: letterale, logico, sistematico) nel contenuto
obiettivo risultante dalla specifica vicenda legislativa che - con apposito
emendamento introdotto alla Camera dei Deputati in sede di conversione del
decreto legge 169/93 - ha condotto all’attuale testo normativo; alla Corte è
parso sufficiente ricordare – per identificare il fine della norma - che la
legge 257/92 si ricollegherebbe alla direttiva CEE 477/83 e che la prima stesura
dell’art.13,comma 8° della 257/92 diede origine a dubbi interpretativi sotto
il profilo della identificazione del quantum della rivalutazione.
- Si
tratta di argomenti che non appaiono esaustivi ed insuperabili; né soprattutto
tali da poter prevalere sull’analisi del testo della disposizione.
- Il
fatto che la legge 257/92 avrebbe un collegamento storico con la direttiva
comunitaria n. 477/1983 - che prescriveva l’adozione di una serie di misure
finalizzate all’eliminazione dei rischi derivanti dall’utilizzazione
dell’amianto – non è argomento dirimente per identificare la ratio legis
esclusivamente con la dismissione dell’amianto.
- A
tale proposito va considerato che proprio la direttiva 477 non prescrive la
cessazione dell’uso dell’amianto; che proprio la l. 257/92 non è legge
di attuazione della direttiva CEE 477/1983; che proprio la direttiva n.
477/1983 era già stata attuata un anno prima con il d.lgs 277/1991 il quale non
prescrive nemmeno l’eliminazione dell’uso dell’amianto ma punta sulla
prevenzione del rischio e sulla tutela della salute dei lavoratori .
- Anche
in altri Paesi Europei che hanno recepito prima dell’Italia quella direttiva a
tutti oggi non vige il divieto di uso di amianto ma sono prescritte solo misure
di salvaguardia.
- In
ogni caso, non si vede come una direttiva comunitaria - che mira a proteggere i
lavoratori dal rischio di una sostanza nociva – possa rendere inconciliabile, sul piano logico giuridico, l’accoglimento della tesi sul
carattere compensativo del beneficio; tanto più se si riflette che proprio
nelle premesse della Direttiva CEE 83/477 si riconosceva che “riducendo il
tempo di esposizione a amianto, diminuirà il rischio di malattie ad esso
connesse”; ed ancor di più se si considera la tardività, di circa 9 anni,
con cui è stata recepita la stessa direttiva ed il fatto che lo Stato italiano
sia stato condannato per questo inadempimento in sede comunitaria (il che
evidentemente valorizza la prospettiva risarcitoria: perché quanto prima si
fosse mosso lo Stato tanto prima si sarebbero create le condizioni giuridiche e
storiche necessarie ad evitare che i lavoratori fossero lasciati esposti
all’azione nociva della sostanza senza adeguate misure di protezione e ad
impedire che l’amianto potesse influire in maniera drammatica sulla vita di
migliaia di lavoratori).
- L’argomento
storico desunto dal richiamo della direttiva 477 non appare perciò di rilievo
alcuno ai fini della identificazione della ratio del beneficio, potendo
giustificare anche, ed ancor di più, l’ipotesi risarcitoria: come peraltro
dimostrano tutte le sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale che
partendo dalla rievocazione delle stesse premesse storiche erano
pervenute a riconoscere una finalità indennitaria e compensativa a fondamento
del beneficio.
- 2.
Altra premessa storica che secondo la Corte influirebbe nell’identificazione
della ratio della norma sarebbe la vicenda legislativa che ha portato alla
modifica del testo dell’art.13, 8 co.
- A
questo proposito però la Corte Costituzionale si limita ad osservare che il
testo originario dell’art. 13 diede luogo ad incertezze interpretative
con riferimento all’identificazione del quantum (periodo di tempo) oggetto
della rivalutazione contributiva (solo
la frazione eccedente il decennio ovvero tutto il periodo di esposizione purchè
superiore al decennio); sicchè il d.l. n. 169/93, convertito con modifiche
nella l. 271/93, eliminò questo dubbio e si stabilì che “ai fini della
prestazioni pensionistiche” oggetto della rivalutazione fosse “l’intero
periodo lavorativo soggetto all’assicurazione contro le malattie
professionali”.
- Anche
sotto questo aspetto però può ripetersi, come sopra, che la necessità di
eliminare il dubbio (mera occasio legis del d.l.169/93),
relativo all’identificazione del periodo di rivalutazione, risulta, in
sé e per sé, argomento neutro rispetto alla identificazione della ratio della
normativa; e che in ogni caso questa considerazione non poteva prevalere ed
assorbire quella, ben più pregnante a fini esegetici, della valutazione del
testo normativo risultante dall’intervento di modifica effettuato dal
Parlamento sul decreto legge in sede di conversione.
- 3.
E’ su questo aspetto che l’analisi della Corte Costituzionale appare
carente: occorreva prestare attenzione – come la Corte aveva fatto in altre
occasioni - al prodotto dell’operazione legislativa di modifica della
normativa con l’eliminazione da parte del Parlamento di quella parte di essa
che delimitava la platea dei destinatari in relazione all’appartenenza
dell’impresa al c.d. settore amianto. Su questo aspetto determinante della
vicenda la nuova sentenza della Corte Cost. non da invece alcuna spiegazione; e
si limita invece ad evidenziare con evidente petizione di principio “il
carattere approssimativo della normativa rispetto ai fini perseguiti” (dunque
assegnati alla norma in via assiomatica).
- Sul
punto fanno però fede i lavori parlamentari che hanno portato alla modifica in
sede di conversione del decreto legge 139/93 ( vedi resoconto della seduta della
Camera dei Deputati 12-14.7.1993); i quali dimostrano come gli emendamenti,
appositamente introdotti dalla Camera ed illustrati dal relatore (on. Morgando),
fossero intesi – senza alcuna esitazione -
a “far sì che per tutti i lavoratori che siano stati esposti
all’amianto per un periodo superiore a dieci anni l’intero periodo
lavorativo soggetto ad assicurazione obbligatoria sia moltiplicato per il
coefficiente di 1,5”. Di più risulta dai lavori preparatori che tutti
i deputati intervenuti nel dibattito hanno attribuito lo stesso significato alla
norma, richiamando il grave rischio alla salute che hanno corso i lavoratori;
rammaricandosi piuttosto del limite di dieci anni; ricordando che la sostanza
non ha limite di soglia; richiamando tutte le malattie asbesto correlate;
ripromettendosi di intervenire in favore di altre lavorazioni usuranti; senza
mai sostenere che il beneficio fosse esclusivamente limitato ai soli lavoratori
in difficoltà occupazionali ovvero appartenenti
a specifiche areee mercelogiche.
- Dunque
per individuare il fine della norma assumeva un peso determinante considerare
(più dell’occasione storica) che l’intervento normativo effettuato fin dal
1993 con la l. 271 risultò ben più esteso di quello richiesto per
l’eliminazione del dubbio relativo all’identificazione del periodo della
rivalutazione.
- La
norma è stata infatti deliberatamente mutata nella sostanza sotto due
profili essenziali: a) eliminando, in maniera motivata ed a seguito di nutrito
dibattito parlamentare, il riferimento alle imprese del c.d. settore amianto
(ossia “all’imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come
materia prima” inserito nel decreto legge ed eliminato di proposito nella
legge di conversione); b) allargando l’operatività del beneficio
“al fine delle prestazione pensionistiche” col venir meno del termine
conseguimento.
- Una
piana lettura di questo specifico intervento dovrebbe portare a riconoscere che:
- a)
eliminando il riferimento alla tipologia dell’impresa ed allargando il
beneficio a tutti i lavoratori delle ” circa 3000 applicazioni
dell’amianto” ( v. intervento alla Camera dell’on. A. Muzio; atti cit.)
lo scopo dell’attribuzione non può essere più ricostruito in termini di
incentivazione all’esodo per i lavoratori del settore amianto ( o quantomeno
non più in questi termini esclusivi) .
- La
norma si radica ora su un unico testuale elemento: l’esposizione
ultradecennale di qualsiasi lavoratore al rischio amianto (al rischio cioè
di contrarre malattie
professionali) quale che sia l’attività lavorativa
svolta ed il settore d’intervento; quale che sia la situazione
occupazionale dell’avente diritto al momento dell’entrata in vigore della
legge: occupato nel settore, occupato in altro settore, disoccupato, invalido (e
per identità di ratio pensionato).
- Per
attribuire il beneficio in base a questa norma l’interprete indaga solo se il
lavoratore sia stato esposto oppure no all’amianto; non se abbia perso il
posto di lavoro o se rischiava di perderlo; come dimostra la concreta
applicazione della norma in sede giudiziaria ed amministrativa,
ed ora anche la legge 179/2002 (v. avanti).
- b)
Sotto l’altro profilo, l’eliminazione del termine “conseguimento” ha
assicurato il massimo della latitudine all’applicazione di questo beneficio;
esso opera infatti non solo ai fini del conseguimento della pensione ma anche ai
fini dell’incremento della pensione (come dimostra la concreta applicazione
della norma in sede amministrativa) ; e se vale ad incrementare la pensione, già
maturata in diritto, del lavoratore in attività nel 92, può valere allo stesso
identico fine di incrementare la pensione già conseguita dal lavoratore nel 92.
- Insomma
dalla nuova soluzione normativa scelta dal Parlamento deriva che tutto il
periodo di esposizione sia soggetto alla rivalutazione e che il beneficio operi
sempre ed in ogni direzione: serve a far conseguire la pensione, serve al fine
di incrementarla, e serve anche al solo fine di accrescere la posizione
contributiva ( e quindi anche quando non serve ai fini del
pensionamento).
- E’
dunque non si capisce come si possa assegnare alla norma il fine esclusivo di
far “ottenere il diritto alla pensione” se la stessa norma venga poi
applicata al caso in cui il lavoratore non possa conseguire la pensione e
all’altro caso in cui il lavoratore abbia già acquisito il diritto alla
pensione; perché nel primo caso il lavoratore dovrà rimanere al lavoro se
vuole acquistare il diritto a pensione; mentre nel secondo caso il lavoratore
potrà utilizzare il beneficio al solo fine di incremento della misura
della pensione.
- Si
vorrà almeno in questi casi riconoscere che la norma obbedisce anche a fini
diversi dal conseguimento della pensione?
- Sotto
questo aspetto non si giustifica dunque perché la Corte Costituzionale abbia
sostenuto da una parte che il venir meno del termine conseguimento all’interno
della disposizione non eserciti alcun rilievo (e cioè la formula legis
sia sostanzialmente equivalente a quella originaria), sicché l’espressione
deve essere letta “come riferentesi alle prestazioni pensionistiche da
conseguire”; e dall’altra parte abbia considerato ammissibile che il
beneficio influisca anche ai fini della misura della pensione e non del solo
conseguimento (risultato che senza quella eliminazione non si sarebbe potuto
produrre).
- Sul
punto è palese la contraddizione; per la Corte il beneficio serve per agevolare
l’esodo e far “ottenere il diritto alla pensione”; ma se il diritto
a pensione è stato già conseguito esso serve per incrementare la misura; e se
non influisce ne sul diritto ne sulla misura, il beneficio serve lo stesso
a meri fini di incremento della posizione contributiva.
- 4.
Occorre considerare che la lettura della vicenda legislativa e dei lavori
parlamentari nei termini esposti, come espressione della ratio compensativa del
beneficio, era stata accolta – prima della sentenza 434/2002 della Corte Cost.
- da tutta la giurisprudenza (di merito, legittimità, costituzionale) in
maniera unanime, tanto da poter essere considerato oramai un punto fermo
nella contrastata interpretazione della normativa a partire dalla sentenza n.5/2000
della Corte Cost.
- La
sentenza 434 della Corte Costituzionale ha invece disatteso anzitutto se stessa;
ed in particolare le due precedenti sentenze rese sull’argomento: la sentenza
del 12.1.2000 n.5 in materia di determinatezza della fattispecie; e la sentenza
del 22 aprile 2002, n. 127 in materia di lavoratori addetti alla Ferrovie dello
Stato; e quest’ultima sentenza pur essendo
stata pronunciata solo pochi mesi prima della sentenza 434/2002 sullo identico
aspetto soggettivo della disposizione.
- Proprio
all’interno della sentenza n. 127/2002 la Corte Costituzionale si era
soffermata sul significato e sulla portata della precedente sentenza n. 5 del
2000; ed aveva ribadito, come nella
prima sentenza, “ che la norma censurata ¾
nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione in legge
del decreto-legge n. 169 del 1993) della locuzione «dipendenti dalle imprese
che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in
corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dismesse»
¾
conferisce essenziale rilievo, ai fini dell’applicazione del beneficio
previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori alla assicurazione
obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto,
escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal
riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro».
- Sicchè
la stessa Corte Costituzionale osservava che “ Coerentemente
con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative
che hanno preceduto l’approvazione del testo attuale del comma 8 dell’art.
13, lo scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto nella
finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile
periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile
incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano
potenzialità morbigene».
- Anche
in questa seconda sentenza, relativa ai lavoratori delle Ferrovie, non vi è nessun
riferimento all’incentivo all’esodo dei lavoratori del settore amianto al
fine di ricostruire la ratio della disposizione; e nonostante che l’oggetto
del giudizio riguardasse l’aspetto soggettivo della disposizione, ossia
proprio l’identificazione dei lavoratori beneficiari della rivalutazione
contributiva - come per i lavoratori pensionati.
- Solo che per la Corte Costituzionale dell’aprile 2002, per sapere se i
lavoratori della ferrovie fossero o meno destinatari del beneficio, la ratio
della norma doveva essere individuata esclusivamente nella “nozione di
rischio morbigeno, caratterizzante il sistema della assicurazione
obbligatoria gestita dall’INAIL” (concetto che ha come ulteriore portato costituzionale il criterio
di parità di tutela a parità di rischio; v. Corte Cost.’74/206; Corte Cost.114/1977);
mentre nella sentenza dell’ottobre 2002 sui pensionati il criterio del rischio
morbigeno risulta scomparso; non vi si fa nemmeno un cenno; e la ratio del
beneficio diventa quella dell’agevolazione all’esodo .
- Nella
medesima sentenza 127/2002 i presupposti per ricomprendere nel beneficio
previdenziale i lavoratori delle Ferrovie dello Stato sono stati individuati
dalla Corte Cost. negli stessi comuni presupposti valevoli per la generalità
dei lavoratori: “ attinenti, segnatamente, all’esposizione ultradecennale
all’amianto, alla soggezione all’assicurazione obbligatoria contro le
malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto e al
rischio morbigeno”; e senza che sia
stato minimamente richiesto che gli stessi ferrovieri abbiano sofferto
crisi occupazionale.
- 5.
Va poi considerato che nella sentenza n.434 del 31 ottobre 2002 sui pensionati
la Corte Costituzionale sostiene di non aver mai riconosciuto il carattere
compensativo del beneficio: “Né è vero che questa Corte, nella sentenza n.
5
del 2000, abbia affermato il carattere risarcitorio del beneficio in esame
escludendo che esso abbia invece la principale funzione di permettere ai lavoratori
coinvolti nel processo di dismissione delle lavorazioni comportanti l’uso
dell’amianto di ottenere il diritto alla pensione”.
- Su
questo rilievo è sufficiente richiamare le parole
della stessa Corte Costituzionale dell’11 aprile 2002 n. 127 ; allorché,
proprio a proposito dell’ambito di applicazione soggettivo della norma,
osservava come esistano “plurimi elementi esegetici, i quali portano a
ritenere che essa sia volta a tutelare, in linea generale, tutti i lavoratori
esposti all’amianto, in presenza, beninteso, dei presupposti fissati dalla
disposizione stessa, secondo quanto evidenziato dalla già ricordata sentenza
di questa Corte n. 5 del 2000. Presupposti richiesti proprio perché
la legge n. 271 del 1993 ha voluto tener conto della capacità dell’amianto di
produrre danni sull’organismo in relazione al tempo di esposizione, sì
da attribuire il beneficio della maggiorazione dell’anzianità
contributiva in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità
dell’attività lavorativa svolta .”
- Va
ribadito: “in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità
dell’attività lavorativa svolta”; perché ciò vale, ovviamente, non tanto
per ricostruire una sorta di verità filologica, quanto per evidenziare come ai
lavoratori delle Ferrovie il
beneficio sia stato riconosciuto in quanto lavoratori assoggettati al
medesimo rischio morbigeno da amianto (e non già perché riconosciuti
lavoratori coinvolti nel processo di dismissione dell’amianto); e per dirla
con le stesse parole della Corte Cost. in considerazione dell’ “obiettiva
pericolosità che indubbiamente non manca anche nell’ambito del servizio
ferroviario”; obiettiva pericolosità che invece non è stata
minimamente considerata nella sentenza sui pensionati, nonostante essi fossero già
certificati dall’Inail come esposti al rischio.
- 6.
Del resto che quello sopraindicato fosse il reale contenuto delle sentenze rese
nella materia dalla Corte Cost. non era stato affermato solo da qualche
distratto e superficiale giudice di merito; bensì dopo la sentenza n. 5/2000
della Corte Cost. da tutta la giurisprudenza di legittimità, all’unanimità.
- A
partire da Cass.4913/2001 che, proprio a proposito dell’avvenuta modifica
della norma e dell’allargamento del beneficio oltre il settore amianto,
evidenziava come nel corso del dibattito parlamentare si “segui una
soluzione che, tenendo conto della capacità di produrre danni in relazione
al tempo di esposizione, consente una maggiorazione dell’anzianità
contributiva per tutti i dipendenti che siano stati esposti all’amianto
per più di dieci anni”. Sicchè individuava la ratio dell’attribuzione
del beneficio in chiave di “attuazione
dei principi di solidarietà di cui è espressione l’art.38 Cost. – in
funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa
spiegata”.
- E
di analogo tenore sono state le tesi espresse da Cassazione 2926/2002;
10979/2002; 10114/2002; 7048/2002.
- Quest’ultima
sentenza in particolare nota :“ questa Corte ha avuto modo di chiarire,
attraverso decisioni adottate in epoca successiva alla pronuncia 12 gennaio
2000, n. 5 della Corte costituzionale, dichiarativa della non fondatezza
delle questioni di costituzionalità della norma in oggetto, sollevate in
riferimento agli art. 3 e 81 Cost., che la eliminazione, ad opera della legge di
conversione n. 271 del 1993, del riferimento - contenuto sia nel testo
originario del comma 8 dell'art. 13, sia in quello sostituito dal d.l. n. 169
del 1993 - ai "dipendenti delle imprese che estraggono amianto o utilizzano
amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a
procedure fallimentari o fallite o dismesse" sia significativa
dell'intento del legislatore di evitare ogni selezione soggettiva che possa
derivare dal riferimento alla tipologia dell'attività produttiva del datore di
lavoro e di attribuire, piuttosto, centralità all'avvenuta
ultradecennale adibizione del
lavoratore ad attività soggette all'assicurazione obbligatoria contro le
malattie professionali derivanti dall'amianto”.
- Tant’è
che la stessa Cass. 7048/2002 conclude esplicitamente :
- “Destinatari
della disposizione in esame non sono, dunque, i lavoratori che abbiano perso
- o siano esposti al rischio di perdere - il posto di lavoro di conseguenza
della soppressione delle lavorazioni dell'amianto, bensì, come si è detto,
i lavoratori, quale che sia l'attività produttiva dell'Impresa datrice di
lavoro, che abbiano subito una esposizione "qualificata" all'amianto”.
- 7.
In relazione a tali precedenti giurisprudenziali la tesi sostenuta da ultimo
dalla Corte Costituzionale deve essere quindi considerata come un cambiamento
di rotta, tanto più immotivato perché fondato su argomenti non
esaustivi (l’argomento storico) che anche il resto della giurisprudenza, per
giungere ad una ratio diversa, aveva condiviso integrandolo però con la
considerazione dei lavori preparatori e sopratutto del testo della norma
modificata dal Parlamento, che dovrebbe essere il punto di partenza di ogni
operazione interpretativa.
- C.
La legge 179/2002 su certificazioni Inail e direttive ministeriali.
- Va
ora aggiunto che nell’interpretazione di una norma conta anche il quadro
sistematico, e dunque non solo le norme precedenti ma anche quelle ad essa
successive, quando sono tali da contribuire alla ricostruzione del reale valore
normativo della disposizione. Il complesso dell’ordinamento nel cui ambito la
norma si colloca deve essere tenuto presente e lo sforzo dell’interprete deve
essere diretto ad evitare antinomie e contraddizioni al fine di realizzare il
massimo possibile di giustizia in conformità alla Costituzione (ovvero di
evitare eclatanti ingiustizie).
- Sulla
questione che si giudica influisce ora l’art. 18 comma 8° della legge
31.07.2002 n. 179 (in vigore da prima della sentenza 434/02 della Corte Cost.)
il quale, ai fini del beneficio di cui si tratta, ha
riconosciuto la validità delle “certificazioni rilasciate o
che saranno rilasciate dall’INAIL sulla base degli atti di indirizzo emanati
sulla materia dal Ministero del Lavoro”.
- Va
ora chiarito che gli atti di indirizzo ministeriali cui si riferisce la norma
riguardano le più disparate imprese e settori di attività; nessuno di essi ,
per quanto se ne sa, attiene al c.d. settore amianto; ad es. a Ravenna gli
stessi atti di indirizzo hanno riguardato i lavoratori del polo chimico e gli
addetti ai lavori di facchinaggio della Compagnia Portuale: lavoratori che
dopo la legge 257/92 non hanno mai rischiato il posto di lavoro; che dopo
l’abolizione dell’uso dell’amianto hanno continuato a produrre prodotti
chimici ed a scaricare sacchi e merci presso il porto di Ravenna; che non
avevano bisogno di essere agevolati ad alcun esodo.
- Tutt’altro:
la ratio di questa recente norma ( che riconosce per legge la validità di
un’atto amministrativo) è esattamente opposta a quella che si suppone a
fondamento della legge 257; l’art.18,8 della l.31.07.2002 n. 179 è stato
infatti emanato per far cessare le opposizioni e le controversie che le imprese
avevano intentato sotto vari aspetti contro questi provvedimenti ministeriali,
impugnandoli davanti al Tar Lazio e al Consiglio di Stato,
al fine di impedire ai lavoratori di lasciare il posto di lavoro;
alla base di questo provvedimento di legge non vi è dunque alcuna “difficoltà
di mantenere il posto di lavoro o di trovarne altro”. Al contrario i
lavoratori volevano abbandonare il posto, mentre le imprese volevano
tenerli al lavoro e hanno promosso addirittura delle cause per cercare di
trattenerli quanto più a lungo possibile al lavoro.
- Proprio
per impedire che si realizzasse questo risultato il legislatore è intervenuto; per
affermare che gli stessi lavoratori pur non subendo alcuna difficoltà
occupazionale avevano comunque diritto alla rivalutazione contributiva per
l’amianto; e che le certificazioni loro rilasciate dall’INAIL avevano
validità.
- Dunque
dopo la legge del 271/1993, ed a maggior ragione dopo la legge 179/2002,
affermare che la norma abbia ancora la principale o esclusiva funzione di
permettere ai lavoratori pregiudicati dal processo di dismissione dell’amianto
di ottenere il diritto a pensione, significa
negare il principio di realtà.
- Oggi
la stragrande maggioranza dei lavoratori a cui il beneficio è stato accordato
sia in base alla legge 271/1993, sia in base agli atti
di indirizzo ministeriali (ed alla legge 179/2002) sono lavoratori che
non appartengono al settore amianto (sono lavoratori della chimica, delle
centrali elettriche, delle ferrovie, dei cantieri navali, delle compagnie
portuali, ecc.); per cui continuare ad opporsi alle istanze dei pensionati
sostenendo che il beneficio abbia la esclusiva finalità di alleviare le
ricadute e le difficoltà occupazionali derivanti in quel
settore dalla cessazione dell’amianto appare non solo sommamente
ingiusto, ma soprattutto privo di qualsivoglia collegamento con la realtà.
- E’
evidente dunque che in questa materia si usano due criteri di giudizio
differenti (due pesi e due misure). Ai lavoratori in attività si dice che la
legge non ha lo scopo di tutelare il posto di lavoro ma di concedere un
beneficio che ha di mira il rischio morbigeno; ai lavoratori pensionati si dice
invece il contrario e cioè che la
legge non ha funzione compensativa del rischio morbigeno bensì di tutelare la
perdita del posto e siccome essi non possono correre questo rischio il beneficio
a loro non spetta.
- D.
Necessità di riconoscere almeno la complessità della funzione sottesa al
beneficio.
- 1.
Da quanto fin qui esposto discende quindi la necessità di affermare,
quantomeno, che la ratio della legge non sia sempre una e una soltanto ( come
si suppone in molte pronunce adoperando una semplificatoria reductio ad
unum pur in presenza delle più disparate situazioni); diventa cioè ineludibile
riconoscere che la stessa legge contenga una disciplina complessa ed ammetta
finalità composite; che comprenda, accanto ad una finalità di incentivazione
all’esodo, una “funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità
dell’attività lavorativa svolta.” (Corte Cost.127/2002)
- Si
dovrebbe riconoscere quindi che la legge non è tutta rivolta a coloro che
perdono il posto (Cass.7048/2002); che a molti lavoratori il beneficio viene
concesso in un’ottica solidale e di compensazione del rischio ( Cass.4931/2001).
- Solo
così si può spiegare il riconoscimento del beneficio alla stragrande
maggioranza dei lavoratori che non avevano difficoltà occupazionali; ai
lavoratori che non sono in grado di raggiungere lo scopo dell’ accesso
a pensione (con 15 anni di contribuzione, periodo minimo garantito dalla
norma); ai lavoratori che beneficiano della rivalutazione a soli fini di
incremento della misura della pensione.
- Diversamente
si potrà continuare a sostenere l’esclusiva finalità di incentivo
all’esodo del beneficio ma eludendo la legge 271/1993, la legge 179/2002, la
sentenza della Corte Cost. sui ferrovieri; e si potrà continuare a sostenere
che l’eliminazione dell’espressione conseguimento non ha alcun valore,
contrariamente a quanto dimostra la costante applicazione amministrativa del
beneficio previdenziale ai casi di semplice maggiorazione della misura della
pensione; e si potrà pure affermare “il carattere approssimativo della
normativa rispetto ai fini perseguiti” e sostenere persino che al
legislatore del ’92 e del ’93 “non
erano del tutto noti allo stato delle conoscenze scientifiche le circostanze in
cui l’amianto poteva essere morbigeno
e i tempi di insorgenza delle diverse patologie”; quando secondo
unanimi e risalenti conoscenze di carattere medico e scientifico e
secondo univoche prescrizioni normative ( v. dpr. 303/56, tu.1124/65 , direttiva
Cee 477/83, dlgs 277/91) tutti sanno che non esistono limiti al di sotto
dei quali possa ritenersi innocua l’esposizione ad amianto; essendo il rischio
morbigeno rappresentato dall’esposizione in sè, anche a basse dosi (
testualmente la direttiva CEE 477/83); mentre sul punto
dell’epoca della diffusione di queste conoscenze la giurisprudenza pullula di
ricostruzioni storiche minuziose e documentate (per tutte Cassazione IV Sez.
penale,11.5.1998) da cui risulta che già nel 1930 erano noti i rischi di
contrazione dell’asbestosi ( la cui assicurazione è stata resa obbligatoria già
nel 1943 con la legge n.455); mentre “l’associazione
amianto–mesotelioma è stata unanimemente riconosciuta fin dal 1965” (Cass.
cit.).
- Ma
se questo è il quadro – tecnico-giuridico, scientifico e storico -
in cui occorre inscrivere la tesi di chi nega questo beneficio ai
pensionati, allora esso non può
essere condiviso da questo giudice alla luce dei principi costituzionali di
legalità, uguaglianza e razionalità.
- Tutto
ciò stride anzitutto ad un elementare senso etico e di giustizia perché
imporrebbe a questo giudice di dover affermare che il beneficio in questione sia
rivolto all’unico fine di
favorire l’esodo di lavoratori in crisi occupazionale, quando nelle migliaia
di casi in cui esso è stato accordato - in via giudiziaria ed in via
amministrativa – in questa città di Ravenna, nemmeno uno di essi
riguardava lavoratori del c.d. settore amianto
- 2. Del resto proprio la Corte Cost. nella sentenza n.434/2002
lascia spazi che devono essere valorizzati dall’interprete - ad es. laddove
parla di “ principale funzione” del beneficio in esame, senza
escludere che la norma possa rivestire anche
funzioni ulteriori; e quando evidenzia nodi che devono essere risolti
dall’interprete allorché a proposito dell’allargamento della platea dei
destinatari parla di “carattere approssimativo della normativa rispetto ai
fini perseguiti”.
- Appare
dunque possibile, senza violare alcun dogma; ed in conformità alla
Corte Cost. 127/2002; ed anche senza contraddire la Corte Costituzionale
434/02; ammettere quantomeno che - per effetto delle sovrapposizioni normative,
della successiva legislazione, della concreta applicazione in sede
amministrativa - la norma non abbia un solo fine ed un’unica ratio.
- Ed
è in aderenza a quella componente compensativa del rischio, immanente
nell’applicazione di questo beneficio, che la rivalutazione contributiva non
può essere negata, in virtù di un’interpretazione conforme a Costituzione,
al lavoratore certificato come esposto dall’INAIL benchè pensionato ante
legem 257: perchè egli si è
trovato nella stessa situazione di rischio (se non in una situazione peggiore)
del collega di lavoro dello stesso settore al quale l’analogo beneficio
dell’incremento della misura della pensione è stato concesso per effetto
dell’identica esposizione (subita nel passato).
- Ne
le due posizioni a confronto – di soggetti che hanno maturato
entrambi il diritto a pensione prima della legge 257/92 a prescindere dalla
stessa - possono essere differenziate sotto il profilo del fattore
temporale; per il fatto cioè che uno dei due si trovi ancora in attività al
momento dell’entrata in vigore della normativa.
- Si
è già visto infatti per un verso che il beneficio viene concesso anche a chi
non subisce alcun pregiudizio occupazionale per effetto dell’abolizione
dell’uso dell’amianto ed anche a chi non è occupato al momento della legge
(come ad es. il disoccupato o l’invalido); mentre, per altro verso,
l’esposizione che rileva nella struttura della norma è quella che si è
consumata nel passato.
- Del
tutto incongruo sarebbe infatti pensare di considerare come elemento
differenziale tra l’uno e l’altro soggetto una potenziale situazione di
esposizione attuale; perché ciò significherebbe anzitutto decretare il
fallimento del sistema di prevenzione introdotto con il d.lgs 277/91.
- Del
resto proprio secondo l’unanime giurisprudenza l’attualità lavorativa
non è requisito costitutivo del beneficio; tanto che lo stesso beneficio si
applica ai lavoratori già transitati in settori diversi fin da prima della
legge; ai lavoratori disoccupati ed agli invalidi.
Non si spiega dunque come, in base a quale criterio, nell’ipotesi in
cui il beneficio serva a tutti questi lavoratori ai soli fini dell’incremento
della misura della pensione, il fattore tempo possa servire a
differenziare la situazione di chi è al lavoro o è disoccupato dopo la legge
da chi ha cessato il lavoro prima della legge.
- E.
Gli altri argomenti utilizzati dalla giurisprudenza per negare il beneficio
contributivo ai pensionati.
- Per
maggiore chiarezza anche sistematica va ribadito che questo giudice non
condivide nemmeno gli altri argomenti adottati dalla giurisprudenza
ordinaria per negare il beneficio ex art.13,comma 8 ai pensionati ante
legem 257/92. Queste sentenze solo apparentemente si fondano su una varietà di
argomenti di carattere letterale, logico e sistematico; esse discendono in realtà
dalla stessa unica (infondata) premessa originaria : quella secondo cui il fine
esclusivo della norma sarebbe di rivolgersi al solo lavoratore del settore
amianto in crisi occupazionale per
fargli conseguire la pensione.
- Si
tratta, come si è visto, di una premessa contraria alla voluntas legis perché
elude una parte del contenuto della legge quale risulta dalla modifica che è
intervenuta nel corpo della disposizione attraverso la legge 271/93, con
l’espresso scopo di non limitare l’applicazione della norma a singole
categorie di imprese e di estendere il beneficio della rivalutazione
contributiva a tutti i lavoratori.
- Lo
aveva già detto la Corte Costituzionale con la sentenza n.5/2000 e
lo dice ora anche la Cassazione
4913/2001 (ma solo quando si occupa di lavoratori non pensionati):
“ la legge del 4.8.1993 n271 di conversione del decreto legge 193/93
non resse quindi al confronto parlamentare sicchè venne eliminato il
riferimento ai lavoratori di “imprese che estraggono o utilizzano amianto come
materia prima” e si seguì una soluzione che tenendo conto della
capacità di produrre danni sull’organismo in relazione al tempo di
esposizione consente una maggiorazione dell’anzianità contributiva per
tutti i dipendenti che siano esposti all’amianto per più di dieci anni”.
- Caduta
questa prima fondamentale ed assorbente premessa,non rimane infatti nulla degli argomenti che si frapponevano alla
legittima richiesta dei pensionati ante legem 257/92 di ricevere il beneficio
previsto dalla legge.
- 1.Per
ciò che attiene all’argomento letterale la stessa Cassazione ( v. sent.5764/2001)
ammette che il termine “lavoratori esposti” si addice ad alcuni pensionati
(a quelli di invalidità), mentre non si addice ad altri pensionati (a quelli di
anzianità e di vecchiaia); e non certo quindi per motivi letterali.
- 2.
L’ulteriore argomento - secondo cui lo scopo della legge è quello di allontanare
i lavoratori dal rischio (“anche in relazione a fatti di esposizione
consumati nel passato”; sic ), è semplicemente insostenibile perché la legge
257/92 è successiva all’introduzione di un imponente sistema di prevenzione
introdotto dal d.lgs. 277/91 e comunque presuppone l’assoggettamento ad un rischio
già consumato nel passato con un’esposizione ultradeccennale.
- 3.
La tesi secondo cui la legge presuppone un rapporto di lavoro in atto è stata
superata dalla stessa Cassazione allorché ha considerato che il principio di
eguaglianza impone l’estensione del beneficio anche ai lavoratori
disoccupati, a chi ha cambiato azienda, a chi è stato licenziato ed ai
pensionati per invalidità civile (v. espressamente sentenza Cass. n.5746 del
19.4.2001, rel. Menichiello).
- 4.
L’argomento secondo cui la norma avrebbe come suo scopo esclusivo,
diretto ed indefettibile di assicurare il “conseguimento della
pensione” ad alcuni lavoratori -
( sempre quelli del settore amianto, per sopperire alla perdita del posto di
lavoro ed allontanarli dal rischio), per cui non si può applicare a chi ha già
la pensione- non resiste ad una semplice verifica logica e sistematica.
- Lo
stesso argomento non tiene anzitutto conto del fatto che la rivalutazione
contributiva riconosciuta dalla norma non è da sola in grado di assicurare il
raggiungimento di questo scopo essenziale, in vista del quale si dice sarebbe
stata esclusivamente voluta (non per niente i prepensionamenti sono regolati a
parte nella stessa legge).
- Il
conseguimento della pensione potrebbe non essere in concreto raggiunto
con la concessione del beneficio; ad es. se un soggetto ha lavorato solo poco più
di dieci anni nel settore amianto non va in pensione con poco più di 15 anni di
contributi (quanto ne assicura il meccanismo di rivalutazione previsto dalla
norma); questo lavoratore dovrà invece continuare a lavorare, pur potendo
usufruire della maggiorazione ex art13,comma 8 che gli verrà comunque
accreditata sulla propria posizione contributiva.
- Inoltre
non si tiene conto del fatto che il beneficio dell’art.13,comma 8° è stato
pensato per valere sempre, vale cioè sia per il conseguimento della pensione,
sia per la misura della pensione.
- Sotto
questo profilo cioè non si vuole tenere conto del modo in cui è stato
concepito e strutturato il beneficio dalla legge: rapportato al tempo dell’
esposizione; al lavoratore spetta tanta rivalutazione contributiva quanto è il
tempo di esposizione!. Anche se la stessa contribuzione non fosse sufficiente
per far conseguire la pensione (da conseguire più in là); anche se, per
converso, essa fosse invece sovrabbondante rispetto al traguardo rappresentato
dal requisito contributivo minimo necessario per il conseguimento della
pensione, e quindi anche se esso serva solo ad incrementare la pensione (da
conseguire o già conseguita).
- Insomma
nessuna sterilizzazione e decurtazione è possibile; dice la legge: “l’intero
periodo lavorativo .. è moltiplicato
per il coefficiente di 1,5”; “ ai fini delle prestazioni
pensionistiche” ( vi sono due, non uno, argomenti testuali nella legge a
questo proposito).
- Va
poi considerato che per negare il beneficio ai lavoratori pensionati si
neutralizza, si mutila, anche il valore normativo specifico, interno alla stessa
disposizione, che discende dall’espressione “ai fini delle prestazioni
pensionistiche”; un’espressione che con carattere di ampiezza e di novità
rispetto all’espressione “ai fini del
conseguimento delle prestazioni pensionistiche”, utilizzata negli
altri commi della stessa norma (ed anche rispetto alla originaria stesura della
legge), consentirebbe invece
esplicitamente, de plano, la soluzione positiva del riconoscimento del
beneficio per i pensionati (per tutti i pensionati) nei limiti in cui il
beneficio possa esercitare effetti ai fini di incrementare le prestazioni già
conseguite.
- 5.
Non meno infondato risulta poi l’ulteriore argomento che si è opposto alla
richiesta dei pensionati, allorché si è pure sostenuto che il beneficio
previdenziale non può essere riconosciuto ai pensionati esposti perché
nell’ipotesi in cui uno di essi avesse già raggiunto il massimo
contributivo…il beneficio non potrebbe essere operativo!
- Ma
a parte il fatto che una situazione simile potrebbe essere in concreto
riscontrata anche rispetto ad un lavoratore in attività che continui a lavorare
pur avendo già raggiunto il massimo contributivo (non c’è nessun divieto in
tal senso), occorre in ogni caso obiettare che il legislatore ha previsto come
beneficio di tutti gli esposti una rivalutazione contributiva; ed è il
legislatore che decide secondo la propria discrezionalità; per cui in concreto
il beneficio è destinato ad operare nei limiti consentiti dal sistema
all’interno del quale esso si colloca.
- L’obiezione
non è poi fondata nemmeno in diritto perché anche nei confronti del pensionato
che avesse già raggiunto il massimo della contribuzione versata, il
riconoscimento del beneficio legale sarebbe in grado di portare ad un utile
risultato permettendo la liquidazione di un supplemento di pensione ( cioè di
una quota aggiuntiva che si somma all’importo già determinato) ex art.7 l.155/81
( circ.Inps 259/94).
- Inoltre
lo stesso argomento appare comunque incongruo, perché non si può utilizzare
come termine di comparazione ai fini dell’applicazione di un beneficio
contributivo la situazione di chi versa in una condizione di assoluto favore (
avendo già raggiunto il massimo di contribuzione ), per negare il beneficio
anche a chi è messo peggio e potrebbe trarre una concreta utilità dallo stesso
riconoscimento.
- Si
ripete che il legislatore ha accordato a tutti gli esposti ultradecennali un
beneficio di natura contributiva, il risultato che può scaturire da questo
beneficio varia a seconda delle condizioni personali dei singoli destinatari e
dei limiti di operatività del sistema in cui è destinato ad operare (non solo
per i pensionati ma per tutti i destinatari, anche per i lavoratori in attività).
- F.
Va dunque riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla rivalutazione contributiva
nei limiti del periodo di esposizione certificato dall’Inail.
- Le
spese del giudizio si compensano dato il contrasto che divide la giurisprudenza
sulla spettanza di questo beneficio ai pensionati; va posta invece a carico
dell’Inps quella parte delle spese processuali che riguarda i lavoratori
ricorrenti (Magrini Romano) che al momento della legge 257/92 fossero titolari
di pensione o di assegno di invalidità dato che per essi è invece consolidato
l’orientamento della giurisprudenza, anche di legittimità, favorevole
all’attribuzione del beneficio (Cass.13786/2001).
- P.Q.M.
- Visto
l’art. 429 c.p.c. e
definitivamente pronunciando sulla domanda ogni diversa domanda, eccezione od
istanza disattesa, così decide:
- Dichiara
che i ricorrenti hanno diritto alla maggiorazione ex art. 13, 8° comma L.
257/92 per i periodi di esposizione all’amianto come da certificazioni in
atti.
- Dispone
che l’INPS provveda all’accredito di legge.
- Condanna
l’INPS alla rifusione parziale delle spese di lite liquidate in complessivi
Euro 1200 di cui 1000 per onorari, oltre IVA e CPA, come per legge.
- Ravenna, 26.03.2003
- Il
Giudice del
Lavoro
- dott. Roberto
RIVERSO
- Depositato in Cancelleria il 20.4.2003
-