Privazione del diritto al disimpegno delle mansioni: risarcibilità del danno non patrimoniale
Corte
di cassazione, Sezione III civile, Sentenza 27 aprile 2004, n. 7980 – Azzolina
c. Regione Toscana e Usl n. 1 di Massa.
Destituzione
ingiustificata dall’impiego – Privazione del diritto al disimpegno delle
mansioni – Diritto al risarcimento del danno non patrimoniale – Sussistenza.
La
negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni al pari del
demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale
alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di
lavoro determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di
relazione dell'interessato (vedansi anche Cassazione quarta, Sezione lavoro,
8835/1991, 13299/1992 11727/1999, 14443/2000, 12553/2003): affermazioni dalle
quali la stessa Corte ha talora tratto che il danno cagionato dalla lesione di
tale diritto è risarcibile anche se esso è di natura non patrimoniale
(Cassazione 1026/1997; 10/2002 già citata, ha precisato che l'affermazione di
un valore superiore della professionalità direttamente collegato a un diritto
fondamentale del lavoratore e costituente sostanzialmente un bene a carattere
immateriale in qualche modo supera e integra la precedente affermazione che la
mortificazione della professionalità del lavoratore potesse dal luogo a
risarcimento solo ove fosse stata fornita la prova dell'effettiva sussistenza di
un danno patrimoniale).
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Il
dott. Gaetano Azzolina - inizialmente sospeso poi dichiarato decaduto ed infine
destituito dall'impiego di primario incaricato del reparto di cardiochirurgia
infantile con provvedimenti del consiglio di amministrazione dell'Ospedale SS.
Giacomo e Cristoforo emessi tra il 1976 ed il 1977 e reintegrato in servizio nel
1984 a seguito dell'annullamento di tali provvedimenti da parte del giudice
amministrativo - convenne in giudizio, con citazione del 1987, il Comune e la
Usl n. 2 di Massa e successivamente anche la Comunità Montana delle Apuane,
chiedendone la condanna al risarcimento del danno, in cinque miliardi di lire,
conseguente all'assenza coatta dal servizio, protrattasi per otto anni, danni
che indicò nella perdita della possibilità di partecipare a concorsi, di
operare, di clientela e di offerte di insegnamento universitario, nella caduta
dell'immagine professionale, nel venir meno di inviti a congressi.
Resistendo
i convenuti, con sentenza 451/1993 l'adito Tribunale di Massa, riconosciuta la
legittimazione passiva della Comunità Montana e della Usl, rigettò tuttavia la
domanda per difetto di prova del dolo o colpa degli amministratori pubblici che
avevano emesso i provvedimenti poi annullati.
La
decisione fu confermata dalla Corte di appello ma la pronuncia fu cassata con
rinvio da questa Corte Suprema (sentenza 9700/1997), che affermò il principio
che la P.A. è tenuta a risarcire i danni cagionati a privati con provvedimenti
poi dichiarati illegittimi.
La
causa fu riassunta dall'Azzolina, nel 1998 nei confronti della Regione Toscana e
della Asl n. 1 di Massa, nonché, ma solo per le spese di lite, del Comune di
Massa.
Con
la sentenza, ora gravata, il giudice del rinvio, esclusa la legittimazione
passiva - così qualificata - dell'Azienda Usl n. 1 ha condannato la sola
Regione Toscana quale successore nelle obbligazioni della cessata Usl n. 2 di
Massa al risarcimento del danno liquidato in lire 350.000.000 oltre accessori,
ed ha condannato l'Azzolina al pagamento delle spese processuali nei confronti
della predetta Azienda
Per
quanto ancora interessa la Corte ha osservato che, non essendo stati provati, e
neppure prospettati, fatti configurabili come reati, non si poneva il problema
della rifusione di danni non patrimoniali; gran parte del danno emergente,
riferibile alle obbligazioni nascenti dal rapporto di pubblico impiego,
risultava già refuso a seguito di transazione per la lesione dei diritti della
personalità era equa la somma di lire 350 milioni tenuto conto della seria
"ferita" alla fama ed all'immagine del cardiochirurgo ma anche della
circostanza che i provvedimenti amministrativi sopra indicati erano stati
annullati non per riconosciuta inesistenza o falsità degli addebiti, ma solo
per difetto di motivazione, tanto che la Corte dei conti aveva mandato assolti
gli amministratori ospedalieri dell'epoca dagli addebiti oggetto del relativo
giudizio di responsabilità; mancavano prove adeguate del lucro cessante:
l'Azzolina aveva bensì perduto la possibilità di partecipare a concorsi, e
tuttavia, per quanto concerne lo stesso ospedale di Massa, egli, dopo la
riammissione in servizio, era stato messo in condizione di concorrere ma aveva
presentato la domanda fuori termine mentre nulla indicava un suo interesse a
ricoprire posti presso altri ospedali; alla stregua della sentenza 1712/1995
delle Sezioni Unite, la rivalutazione della somma liquidata decorreva dalla data
del fatto illecito, determinata nel 1984, mentre gli interessi, nella misura del
6%, erano dovuti sulle somme annualmente risultanti in dipendenza della
rivalutazione Istat, con cadenza annuale a decorrere dalla data suddetta.
Per
la cassazione di tale decisione l'Azzolina ha proposto ricorso, affidato a
cinque motivi, cui l'Asl e la Regione resistono con distinti controricorsi.
Quest'ultima ha contestualmente proposto ricorso incidentale. Il Comune non ha
svolto attività difensiva il ricorrente principale ha depositato memoria.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
1.
I due ricorsi, iscritti con numeri di ruolo diversi, devono essere riuniti (art.
335 c.p.c.) perché investono la medesima sentenza.
2.
Il ricorso incidentale - il cui esame dovrebbe precedere quello del ricorso
principale perché ha ad oggetto una questione, la titolarità passiva del
rapporto dedotto in giudizio, logicamente antecedente le censure elevate dal
ricorrente principale in ordine alla liquidazione del danno ed alle spese - è
inammissibile.
La
Regione Toscana, controricorrente e ricorrente incidentale, risulta infatti
rappresentata e difesa come da mandato in calce al ricorso notificato e, dunque,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, irritualmente, mancando la
certezza dell'effettivo rilascio del mandato in data anteriore o coeva alla
notificazione dell'atto (da ultimo, Cassazione 4991, 7432 e 7998/02); tale
modalità di conferimento resta tuttavia valida ai soli fini della costituzione
della parte e della avvenuta partecipazione del difensore alla discussione,
partecipazione che peraltro non consente il riesame di tale questione in difetto
di valido ricorso incidentale.
3.
La Corte del merito ha negato all'Azzolina il risarcimento del danno non
patrimoniale con il rilievo che non era stata provata e neppure prospettata
"l'insorgenza di fatti configurabili come reato" punto della decisione
investito dal primo motivo del ricorso principale, con il quale il ricorrente
deduce la violazione dell'art. 2043 c.c. osservando che egli aveva denunciato la
lesione del valore della propria persona in senso soggettivo, del proprio
personalissimo diritto alla identità personale ed alla dignità, tutelato
dall'art. 2 Cost., e richiamando poi in memoria la sentenza 8828/2003 di questa
Corte suprema.
La
censura è fondata.
Nel
decidere come sopra alla stregua del dato ritenuto assorbente, della non
configurabilità di ipotesi di reato a carico degli amministratori pubblici
autori degli atti amministrativi poi annullati e dai quali è derivato il danno
posto a fondamento della domanda, la Corte territoriale ha tuttavia, e sia pure
solo implicitamente, ritenuto sussistente il danno in questione.
Ciò,
del tutto legittimamente, avendo questa Corte Suprema affermato (sentenza
10/2002) che la negazione o l'impedimento allo svolgimento delle mansioni al
pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto
fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche
nel luogo di lavoro determinando un pregiudizio che incide sulla vita
professionale e di relazione dell'interessato (vedansi anche Cassazione quarta,
Sezione lavoro, 8835/1991, 13299/1992 11727/1999, 14443/2000, 12553/2003):
affermazioni dalle quali la stessa Corte ha talora tratto che il danno cagionato
dalla lesione di tale diritto è risarcibile anche se esso è di natura non
patrimoniale (Cassazione 1026/1997; 10/2002 già citata, ha precisato che
l'affermazione di un valore superiore della professionalità direttamente
collegato a un diritto fondamentale del lavoratore e costituente sostanzialmente
un bene a carattere immateriale in qualche modo supera e integra la precedente
affermazione che la mortificazione della professionalità del lavoratore potesse
dal luogo a risarcimento solo ove fosse stata fornita la prova dell'effettiva
sussistenza di un danno patrimoniale).
Sul
piano generale, deve rilevarsi che danno patrimoniale e danno non patrimoniale
furono disciplinati dal legislatore del 1942 rispettivamente agli artt. 2043 e
2059 c.c., norma, quest'ultima, che limitò il risarcimento ai soli casi
determinati dalla lettera della legge che ha indotto la Corte territoriale a
negare nella specie il chiesto risarcimento. Il quadro normativo è, però,
successivamente e profondamente mutato: l'art. 2 Cost., di ispirazione
democratica e liberale, riconosce e garantisce infatti i diritti inviolabili
dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità mentre diverse norme ordinarie (ad esempio l'art. 2 l. 89/2001 sul
mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo) assicurano il
risarcimento del danno non patrimoniale oltre la previsione degli artt. 185 c.p.
e 89 c.p.c. cui il citato art. 2059 si riferisce.
Sono
queste - unitamente agli interventi della Corte costituzionale, ad esempio in
materia di danno biologico - le ragioni per le quali di recente (sentenza
8828/2003) questa stessa Corte ha affermato, interpretando l'art. 2059 c.c. in
senso conforme alle norme costituzionali, ad esso sovraordinate, che il danno
non patrimoniale, che detta disposizione contempla, comprende oltre al danno
morale soggettivo anche ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di
un valore inerente alla persona costituzionalmente garantito, dalla quale
derivino effetti dannosi insuscettibili di valutazione economica senza che sia
necessario che tale lesione configuri reato.
Tali
affermazioni devono essere condivise.
Come
questa Corte Suprema ebbe a rilevare (sentenza 3563/1996), peraltro in tema di
danno biologico, esso è immanente al fatto illecito lesivo dell'integrità
biopsichica del danneggiato a differenza delle conseguenze patrimoniali
derivanti dalla stessa lesione trascendenti lo stesso fatto.
Tali
rilievi devono essere estesi dalla tutela del diritto alla salute alla lesione
di ogni altro valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, e
comportano pertanto il risarcimento del danno relativo, indipendentemente dai
riflessi patrimoniali della stessa lesione, che costituiscono una voce di danno
eventuale, autonoma ed aggiuntiva.
Nella
specie il ricorrente allega la violazione non dell'art. 2059 c.c. ma dell'art.
2043 c.c.: profilo, peraltro, non ostativo all'accoglimento del motivo, decisiva
in tal senso essendo la prospettazione di un danno non patrimoniale.
Sul
punto, l'impugnata sentenza deve pertanto essere cassata, con rinvio ad altro
giudice che riesaminerà il corrispondente motivo d'appello attenendosi a tali
criteri.
4.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la quantificazione in lire 350
milioni del risarcimento del danno patrimoniale all'immagine sia all'interno che
all'esterno della struttura ospedaliera, quantificazione che afferma viziata
nella motivazione.
Il
motivo è infondato.
Trattasi,
infatti, di liquidazione equitativa, compiuta dalla Corte territoriale alla
stregua della notorietà del danneggiato e della condotta dei danneggianti,
condotta che la stessa Corte ha valutato con riferimento all'annullamento solo
per vizi di motivazione dei provvedimenti da essi adottati e l'assoluzione da
ogni addebito di responsabilità amministrativa, pronunciata dalla Corte dei
conti.
Diversamente
da quanto preteso dal ricorrente, in tali affermazioni non è ravvisabile alcun
vizio logico o giuridico, non senza rilevare che lo stesso ricorrente sollecita
nella sostanza il riesame, inammissibile in questa sede di legittimità, della
entità del danno subito e della corrispondente traduzione pecuniaria.
5.
Fondato è invece il terzo motivo, con il quale il ricorrente afferma che la
decorrenza di interessi e rivalutazione doveva datare dal 1976, in cui fu
allontanato dal servizio, e non dal 1984 come invece stabilito in sentenza.
Il
fatto illecito, a carattere permanente, ebbe infatti a verificarsi appunto nel
1976 e si protrasse fino al 1984 - anno della riammissione in servizio - donde
la manifesta erroneità, sul punto, della decisione.
6.
La stessa Corte ha negato il risarcimento del lucro cessante con il rilievo che,
sebbene fosse astrattamente ipotizzabile, esso non era stato però provato
dall'Azzolina con consistenti elementi dimostrativi di un'apprezzabile
diminuzione reddituale in dipendenza dei fatti di cui è causa, ed in
particolare ha affermato che egli, dopo la riammissione in servizio, pur messo
in condizioni di concorrere al primariato, presentò la domanda fuori termine.
Con
il quarto motivo il ricorrente censura tali affermazioni addebitando alla Corte
territoriale di avergli ascritto un comportamento omissivo in realtà
insussistente, e di avere cosi travisato il fatto.
La
censura è inammissibile perché l'errore addotto è da natura revocatoria e,
pertanto, avrebbe dovuto essere fatto valere nella diversa e competente sede ai
sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (da ultimo, in tal senso, Cassazione
1512/2003).
L'accoglimento
del primo e terzo motivo del ricorso principale non comporta l'assorbimento del
quinto motivo dello stesso ricorso, che concerne il regolamento delle spese nei
rapporti tra il ricorrente e l'Asl, giacché, per effetto della declaratoria di
inammissibilità del ricorso incidentale si è formato il giudicato sulla
insussistenza della titolarità passiva di tale azienda nel rapporto dedotto in
giudizio, e per conseguenza la stessa non dovrà essere chiamata a partecipare
al nuovo giudizio di rinvio.
Con
il motivo in esame il ricorrente afferma che la condanna al rimborso delle spese
di detta azienda, pronunciata a suo carico, è viziata nella motivazione poiché
non tiene conto del fatto che egli dovette necessariamente notificare la
citazione a detta azienda, parte dei precedenti giudizi, parte la quale aveva
anche proposto ricorso incidentale per cassazione.
Il
motivo è infondato.
Il
ricorrente parzialmente vittorioso nei confronti della Regione è invece
risultato totalmente soccombente nei riguardi dell'Asl, della quale, e sia pure
alternativamente con la Regione, aveva chiesto la condanna al risarcimento del
danno come risulta dalle conclusioni trascritte nell'epigrafe della sentenza
impugnata; né il mancato esercizio del potere discrezionale di compensazione,
sostanzialmente denunciato dal ricorrente, è censurabile in questa sede.
8.
Accolti, pertanto, il primo e terzo motivo del ricorso principale e cassata in
relazione ad essi la sentenza impugnata, le parti vanno rimesse dinanzi ad altra
sezione della stessa Corte la quale, riesaminata la controversia nei limiti
anzidetti, all'esito regolerà anche le spese del presente giudizio nei rapporti
tra ricorrente e Regione. Nei rapporti, invece, tra ricorrente ed Asl, ricorrono
giusti motivi per compensare le spese dello stesso giudizio.
P.Q.M.
Riuniti
i ricorsi dichiara inammissibile il ricorso incidentale, accoglie il primo e
terzo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri motivi dello stesso
ricorso, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione
della Corte d'appello di Genova anche per le spese del giudizio di cassazione
nei rapporti tra ricorrente e Regione; compensa le spese dello stesso giudizio
nei rapporti tra ricorrente ed Asl.
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