Il contenzioso
del lavoro nel Gruppo IMI: le dimissioni estorte al dr. Stefano Granili (Spei
leasing spa)
Rapporto
di lavoro – Dimissioni rese dietro violenza morale posta in essere dai
rappresentanti aziendali – Riscontro di minaccia di male ingiusto –
Annullabilità- Conseguente continuità del rapporto di lavoro illegittimamente
risolto.
Pretura
di Bari 9 luglio 1999 (ud. 4 maggio
1999) – Est. Notarnicola – Granili (avv.ti Spinelli e Pannarale) c. Spei
Leasing SpA (avv.ti Maresca e D’Addario)
Le dimissioni rese da un funzionario
responsabile di filiale a seguito di minaccia posta in essere dai massimi rappresentanti aziendali (il
Direttore generale e la Responsabile del Personale) consistente nel
licenziamento e denuncia nei di lui confronti e della consorte
(anch’essa dipendente della società),
per addebiti, rivelatisi poi
inconsistenti, quali l’aver consentito
un giorno di assenza ingiustificata alla moglie con asserita alterazione del
libro presenze vidimato dall’Inail e la
percezione di una indebita retribuzione per tale giornata, sono, in
fattispecie, viziate da violenza morale
sia per l’ingiustificatezza del male
ingiusto minacciato, sia per le inusitate modalità di prospettazione del
medesimo, nonché per l’intrinseca gravità dello stesso, costituito dalla
privazione del posto di lavoro con ovvie ripercussioni sul menage familiare.
L’atto di dimissioni è annullabile, con
conseguente continuità del rapporto di lavoro, essendo stato accertato in istruttoria che il primo degli
addebiti - quello dell’aver consentito un giorno di assenza ingiustificata
(tramite l’apposizione a distanza di tempo dell’orario di servizio in luogo
della causale “malattia”) – era inesistente a causa della veridicità della
malattia della moglie mentre la carente menzione sul libro presenze era in
realtà imputabile ad una mera dimenticanza
che aveva determinato il compimento di un errore materiale sul libro medesimo,
ed il secondo addebito - quello di aver
consentito al coniuge la percezione di
una indebita retribuzione per un servizio mai reso – era anch’esso infondato in
quanto la giornata di malattia (nella specie accertata) è, nello specifico
settore del credito, contrattualmente retribuita al pari delle giornate
lavorate.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 20.10.94, il ricorrente dr. Stefano
Granili chiedeva l'annullamento dell'atto di dimissioni da egli presentato alla
SPEI LEASING SPA (di seguito solo SPEI) in data 4.5.93 ai sensi de1l'art.1427
c.c. perché posto in essere sotto la pressione psicologica esercitata dal
proprio datore di lavoro e concretatasi
in comportamenti di vera e propria violenza morale, con la
condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'art.18 SL e al
pagamento delle retribuzioni spettanti a far data dalla risoluzione, con
vittoria di spese.
In fatto, l'istante esponeva: che era dipendente della
SPEI dal 1973; che dal 1° dicembre 1985 era stato responsabile della sede
regionale di Bari, in cui lavorava anche la moglie sig.ra Girondini Marta; che
si era trasferito a Bari con la famiglia ed aveva affrontato tutti i problemi
connessi all’avviamento della filiale, che nel gennaio 1987 per i
risultati raggiunti era stato promosso funzionario di 3.a categoria, aveva
ricevuto numerosi emolumenti ed un miglioramento economico nel 1992 per il
lavoro svolto, nonché giudizi lusinghieri espressi anche nei confronti della moglie;
che il 27 aprile 1993 due funzionari
della SPEI, dr. De Simone e sig.ra Savini si erano presentati presso gli uffici
di Bari; avevano consegnato al ricorrente una lettera di contestazione
disciplinare e gli avevano intimato di lasciare l’ufficio per compiere degli
accertamenti; che la Savini si era recata a casa dell'istante per consegnare
un'altra lettera di contestazione
alla Girondini, che veniva sospesa dal lavoro; che nelle lettere di
contestazione si addebitava al Granili di avere consentito alla moglie di
assentarsi ingiustificatamente in due occasioni (il 5.3.93 ed il pomeriggio del
26.3.93), di avere occultato tale
condotta con alterazione della documentazione ufficiale vidimata
dall'INAIL e di avere consentito alla moglie di percepire un'indebita
retribuzione per un servizio mai reso; che secondo la prassi della SPEI, presso
la sede di Bari, le ferie erano concesse dal ricorrente su richiesta verbale e
la giornata veniva annotata con la dizione “ferie” sul foglio presenze mentre
non si chiedeva l'esibizione del certificato di malattia quando si trattava di
un solo giorno di assenza; che il 4.3.93 la Girondini aveva chiesto al marito
di ottenere un giorno di ferie, la mattina successiva aveva comunicato al
marito di avere sintomi influenzali; era rimasta in casa, aveva contattato il
dott. Cosimo D'Angela che le aveva prescritto dei medicinali che erano stati
acquistati dal sig. Paiano;
non aveva contattato il medico di
famiglia dott. Contusi perché non riceveva quel giorno; che quel giorno il ricorrente
cancellava con il bianchetto la dizione “ferie" sul foglio delle presenze
della moglie, riproponendosi di aggiungere la corretta dizione “malattia",
annotazione che invece dimenticava di fare; in seguito il 2.4.93, controllando
il foglio presenze, non ricordando il motivo dell'assenza, aveva apposto il
segno di presenza; che il 26.3.93 la Girondini si era recata per servizio
presso un cliente, rag. Giovanni Moretti; che in occasione della consegna della
contestazione alla Girondini, la Savini sottolineava la gravità dei fatti e
dava appuntamento all'istante e alla moglie per il giorno successivo in
ufficio; che a tale appuntamento i due funzionari della SPEI esponevano di
avere eseguito controlli sulle presenze e su alcune pratiche, suggerivano ai
due dipendenti di scrivere direttamente al Direttore Generale senza assistenza
di un avvocato che avrebbe irritato la Direzione con la conseguenza del loro
immediato licenziamento e di una denuncia; i due coniugi scrivevano
immediatamente le lettere di richiesta di udienza e le consegnavano alla
Savini; nei giorni precedenti all’incontro con il Direttore Generale, fissato
per il 4.5.93, la Savini telefonava
ripetutamente ai due dipendenti, rimarcava sia la gravità dei fatti sia la
opportunità della scelta di non farsi seguire da un avvocato e contattare
direttamente la Direzione e suggeriva che l’unico mezzo per non aggravare la
situazione erano le dimissioni dell’istante al fine di evitare il licenziamento
di entrambi; che il 4.5.93 il Direttore, dr. Marco Principe, aveva ricevuto il
ricorrente, che aveva spiegato che per la presenza del giorno 5 vi era stato un
errore materiale che non aveva comportato alcun indebito arricchimento alla
moglie, poiché il giorno di malattia è pagato al pari di quello di lavoro e che
il giorno 26 la moglie aveva regolarmente lavorato; il Direttore con un codice
in mano affermava che i fatti contestati erano denunciabili e punibili con il
licenziamento di entrambi e l’unica soluzione erano le dimissioni del Granili a
cui avrebbe fatto seguito la ripresa del lavoro della moglie; alle
argomentazioni del ricorrente, il Direttore si mostrava irremovibile e ripeteva
l’alternativa tra dimissioni e licenziamento di entrambi; il ricorrente cedeva;
in seguito vi era un breve colloquio tra il Direttore e la Girondini; la Savini
dettava al ricorrente la lettera di dimissioni che veniva firmata dallo stesso;
che con comunicazione del 5.4.93 alla
Girondini veniva applicata la sanzione del “biasimo scritto” ed il giudizio di
“normale” nelle note caratteristiche dell’anno; che il ricorrente si era
risolto a far valere l’invalidità dell’atto di dimissioni con nota del 22.6.94,
solo quando era mutato il gruppo dirigente della SPEI, al fine di evitare
ritorsioni contro la moglie, che era afflitta – a causa degli eventi – da un
forte esaurimento nervoso.
In diritto l’istante esponeva che l’atto di dimissioni
era viziato per violenza morale
esercitata dal datore di lavoro e diretta contro l’attore e contro la moglie
ovvero, in subordine, che fosse viziato per minaccia di far valere un diritto
esercitata dal datore di lavoro e diretta a conseguire vantaggi ingiusti.
Si costituiva la SPEI, la quale deduceva in fatto che il
ricorrente aveva alterato i fogli di presenza, in quanto aveva apposto un orario
in entrata ed in uscita non rispondente al vero per il giorno 5.3.93,
cancellando con il bianchetto la dizione “ferie”; che aveva cancellato la
parola “permesso” apposta dalla moglie per il giorno 26.3.93 ed aveva indicato
un orario di servizio; che la Savini e il De Simone non avevano esercitato
pressioni sul ricorrente e la moglie, anzi la Savini aveva loro consigliato di
rivolgersi ad un legale e al sindacato; che in occasione del passaggio di consegne era emerso che il
ricorrente aveva prelevato delle somme dalla cassa di Bari da lui gestita e che
aveva autorizzato il pagamento di commissioni per intermediazione rispetto a
contratti gestiti e perfezionati solo dal personale della società; che il
ricorrente e la moglie chiesero un incontro con il Direttore, senza che la
Savini avesse mai telefonato anzi era stata ripetutamente cercata dalla
Girondini; che all’incontro suddetto il ricorrente aveva ammesso i fatti
aggiungendo che la moglie non era a conoscenza del suo operato e aveva chiesto
di fruire del trattamento agevolato e che il Direttore aveva rifiutato sia
perché l’incentivazione all’esodo era chiusa e riguardava dipendenti con più di 45 anni, sia perché i fatti
contestati non permettevano equiparazioni tra le situazioni; il ricorrente
dichiarò di volersi dimettere e di voler essere aiutato a trovare un'altra
occupazione e di rimanere in servizio e il Direttore accolse tali richieste;
che il ricorrente pur esonerato dal servizio fu pagato sino al 31.7.93 e la
SPEI stipulò un contratto di outplacement
in suo favore.
In diritto la società eccepiva l’insussistenza della
violenza, l’inammissibilità della reintegrazione ex art. 18 SL, in quanto norma
relativa ai soli licenziamenti illegittimi, nonché la carenza di prova del
danno.
Concludeva, pertanto, per il rigetto del ricorso, e
spiegava riconvenzionale, per il caso dell’accoglimento, per la restituzione
della somma di £. 16.000.000 spesa per il contratto di outplacement e delle tre mensilità pagate.
La
causa veniva istruita con l’interrogatorio libero del ricorrente e del
procuratore speciale della resistente, con l’interrogatorio formale del
ricorrente nonché con l’escussione dei testi.
All’odierna udienza, la causa veniva discussa e decisa
come da dispositivo di cui veniva data lettura.
La domanda attorea è
parzialmente fondata e va accolta per quanto di ragione.
In fatto.
Le contestazioni mosse
al ricorrente sono le seguenti:
di avere consentito alla moglie di assentarsi ingiustificatamente in due
occasioni (il 5.3.93 ed il pomeriggio del 26.3.93), di avere occultato tale condotta con alterazione della documentazione ufficiale
vidimata dalI'INAIL e di avere consentito alla moglie di percepire un'indebita
retribuzione per un servizio mai reso.
In primo luogo va chiarito che, effettivamente, è
incontestato che il ricorrente appose l'orario di lavoro - in luogo della
dipendente - invece di "malattia” per il giorno 5.3.93 mentre è contestato
che fu lui ad apporre l'orario sul foglio di presenza del 26.3.93 (cfr.
interrogatorio formale del ricorrente).
Quindi, é vero che, quanto meno per la prima assenza, fu
l'istante a compilare il foglio di presenza.
Tuttavia, la testimonianza resa dal dott. D'Angela prova che in quel giorno,
effettivamente, la Girondini era malata.
Pertanto non è vero che il ricorrente consentì un'assenza
ingiustificata alla moglie e le assicurò un'indebita retribuzione, in quanto la stessa era davvero malata e il giorno
di malattia é regolarmente retribuito.
Per la seconda assenza, non è provato che sia stato l'istante a compilare
indebitamente il foglio di presenza e la prova incombeva sul datore di lavoro.
In ogni caso, la testimonianza del rag. Moretti prova che
la dipendente si recò presso di lui per curare una pratica di morosità e che,
quindi, non era in permesso, ma era effettivamente in servizio, fuori dalla
sede.
Inoltre, la Girondini ha dichiarato che quel
giorno avrebbe dovuto fruire di un permesso nel pomeriggio ma si era poi recata
dal cliente su disposizioni del marito e la stessa Savini ha dichiarato che
aveva ricevuto il foglio di presenza via fax lo stesso 26.3.93 con l’apposizione “permesso”.
Pertanto anche per questa seconda giornata, non è vero
che l'istante consentì un'assenza
ingiustificata alla moglie e le assicurò un'indebita retribuzione, in quanto la
stessa era davvero in servizio e il giorno di permesso sarebbe stato
regolarmente retribuito e fruibile da parte della Girondini che, per ammissione
della teste Savini, aveva utilizzato pochissimi permessi retribuiti.
Quindi, in primo luogo, il ricorrente non
appare responsabile dei fatti così come a lui contestati.
In secondo luogo, appaiono singolari le modalità di
consegna delle contestazioni disciplinari.
E’ pacifico che si recarono a Bari la Savini e il De
Simone e consegnarono nella sede della società la contestazione al Granili e
che la Savini insieme all'istante si recò a casa di quest' ultimo e consegnò la lettera di contestazione alla
Girondini.
La teste Savini
ha dichiarato che non vi era una prassi costante per le contestazioni di
addebito, ma adeguata di volta in volta alle situazioni.
Viceversa, il teste Firinu, estraneo alla vicenda,
ha dichiarato che la prassi seguita nella fattispecie era una prassi inaudita.
Infine, secondo una valutazione di normalità dei rapporti
gerarchici, appare singolare che si mobilitino ben due funzionari da Roma a
Bari per procedere alla consegna di due lettere di contestazione.
In quarto luogo, il
provvedimento di sospensione, che fu adottato evidentemente solo alla luce delle irregolarità oggetto di
formale contestazione, non appare
giustificato da alcuna esigenza cautelare dal momento che la documentazione
interessata era tutta nella disponibilità della società, cui perveniva giorno
per giorno.
Pertanto, anche
considerata la personalità del ricorrente
e della moglie, che avevano sempre riportato giudizi lusinghieri in
relazione all’attività lavorativa espletata, non appare accertata la necessità
e l’impellenza di allontanare il ricorrente e sua moglie dal posto di lavoro.
In quinto luogo, va rilevata
la circostanza che, nonostante la lavoratrice fosse stata estranea
all’alterazione del foglio di presenza, fu destinataria del “biasimo scritto”.
Non regge infatti la
motivazione offerta dalla Savini e dal Principe, in quanto non appare possibile
che un dipendente verifichi i fogli di presenza oggetto di controllo da parte
del superiore e già trasmessi alla Direzione centrale.
Quindi, anche tale sanzione appare non motivata
adeguatamente.
Da ultimo, va esaminata
la questione della minaccia del licenziamento di entrambi i dipendenti.
Secondo la versione del ricorrente la Savini prima e il Principe
dopo fecero presente ai dipendenti che la conseguenza della loro condotta
sarebbe stata il licenziamento di entrambi; la Savini sconsigliò l’intervento
di un legale – già contattato dai due lavoratori – e del sindacato e consigliò
di contattare direttamente il Direttore Generale; il dr. Principe
nell’evidenziare la gravità dei fatti e la loro naturale conseguenza del
licenziamento per entrambi espose che solo le dimissioni del ricorrente
avrebbero evitato la conseguenza.
Invece, secondo la
società il ricorrente si determinò da solo alle dimissioni, senza che mai alcuna pressione fosse esercitata in
tal senso.
La tesi della società
sembrerebbe essere confermata dalla testimonianza resa dalla Savini,
responsabile del personale, che ha negato qualsivoglia ingerenza sulla
questione dell’assistenza del legale e del sindacato e qualsivoglia pressione
personale o di terzi alla presentazione delle dimissioni. Nonché dalla
testimonianza del dr. Principe, Direttore Generale della SPEI all’epoca dei
fatti, secondo cui il ricorrente era già determinato a dimettersi prima
dell’inizio del colloquio, e, pertanto, egli non prospettò le conseguenze
disciplinari delle contestazioni.
Peraltro, la Savini ha
dichiarato che la Girondini temeva il licenziamento per entrambi e il dr.
Principe ha dichiarato di aver sottolineato la gravità dei fatti, che invece
non erano conformi alla realtà nella prospettazione datoriale, nel senso già esaminato.
In senso contrario sono,
invece, le deposizioni rese da altri testi, tra cui la Girondini, moglie del
ricorrente ed altri del tutto estranei ai fatti in causa.
La Girondini, ha
confermato che in occasione della consegna delle lettere di contestazione, la
Savini sconsigliò di rivolgersi al sindacato e ad un legale e di chiedere
invece un incontro con il dr. Principe e che prospettò che, per la gravità dei
fatti, potevano seguire il licenziamento e la denuncia per indebito
arricchimento; che il marito uscì distrutto dal colloquio con il Direttore e
dopo tale colloquio la Savini pretese che il ricorrente scrivesse subito le
dimissioni sotto dettatura e con tono non bonario; che il marito le aveva
riferito che il Direttore aveva i codici in mano e aveva prospettato il
licenziamento di entrambi.
Il teste Famà ha
dichiarato di avere appreso dal ricorrente che, poiché l’azienda stava
procedendo al licenziamento di entrambi, dovevano avere un colloquio in sede
centrale.
Il teste Firinu ha
dichiarato che il ricorrente gli riportò lo svolgimento del colloquio nel senso
dedotto in giudizio e, soprattutto, che lo stesso dr. Principe gli aveva
riferito che avrebbe dovuto licenziare entrambi i dipendenti e che avrebbe
aiutato il ricorrente per una risistemazione a Roma e con ottime referenze,
nonostante il teste gli avesse contestato che lo avevano “cacciato” dalla
società.
Il teste Gravina ha
dichiarato che la moglie del ricorrente in lacrime le aveva riferito che era stato costretto a dimettersi e che la
Savini stessa, da lei interpellata per l’assenza del Granili ad una riunione,
le aveva riferito di gravi irregolarità, di un suo interessamento per una
soluzione bonaria, e, soprattutto, le aveva raccomandato di evitare la tutela
sindacale dei due coniugi.
La testimonianza della
Girondini appare credibile, ancorché resa dalla moglie del ricorrente, sia per
la sua logicità e coerenza intrinseca rispetto alle testimonianze poco innanzi
esaminate, sia perché proprio lo stato di salute della ricorrente, così come in
atti documentato dai certificati medici, rende contezza delle gravi
ripercussioni che l’accaduto ebbe, per la sua portata, sulla persona della
testimone stessa.
Le altre tre
testimonianze esaminate appaiono assolutamente credibili in quanto trattasi di
persone del tutto estranee ai fatti di causa e, nella parte de relato, in quanto sono coerenti con
ulteriori elementi di prova.
Tali elementi sono sia
la testimonianza della Girondini e le conoscenze dirette degli stessi testi: ad
esempio al teste Famà lo stesso dr. Principe aveva riferito che avrebbe dovuto
licenziare entrambi i dipendenti e alla teste Gravina la stessa Savini aveva
suggerito di evitare l’assistenza sindacale ai due coniugi.
Infine,
l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla Savini e dal dr. Principe si
evince dalla considerazione che non appare credibile che mentre a terzi veniva
prospettato il pericolo del licenziamento, tale pericolo non fosse mai portato
a conoscenza dei diretti interessati nel corso dei colloqui a Bari e per telefono
con la prima e a Roma con il secondo, nonché dalla assoluta non credibilità
della circostanza che in assenza di qualsivoglia prospettazione dei
licenziamenti il Granili avesse maturato la decisione di dimettersi, pur avendo
contattato un legale da cui si era fatto scrivere le lettere di giustificazione
e pur sapendo che le contestazioni mosse non erano fondate nei termini indicati
dalla società.
Da ultimo, va
considerato che i testi Famà, Gravina e Firinu hanno confermato che presso la
SPEI era in atto un piano di chiusura delle filiali regionali, per cui le
dimissioni volontarie del responsabile di una di esse avrebbe potuto far comodo
alla società.
Anzi il teste Famà ha
dichiarato che la società aveva prospettato il suo licenziamento per un fatto
risalente a ben 3 o 4 anni prima, e che la questione si era risolta con
l’intervento del sindacato.
In diritto.
L’atto di dimissioni del
Granili è annullabile perché viziato da violenza.
Infatti, sussistono gli
elementi di tale vizio della volontà.
In primo luogo,
l’estrinsecità, in quanto sono stati accertati dei comportamenti da parte dei
superiori tali da far temere un male ingiusto e notevole al ricorrente e al suo
coniuge.
Il contenuto delle
lettere di contestazioni, le modalità della loro consegna e la sospensione dei
dipendenti dal lavoro; la condotta della Savini consistita nel paventare il
licenziamento, consigliare di evitare l’assistenza di terzi e chiedere un
colloquio immediato; la condotta del dr. De Simone consistita nel controllo di
irregolarità mai contestate; la condotta del dr. Principe di prospettazione di
un licenziamento per entrambi i fatti che non giustificavano tale recesso,
hanno configurato una serie di eventi incalzanti, all’esito dei quali il
ricorrente ha subito una coartazione della propria volontà.
In secondo luogo, la
serietà della minaccia, in quanto la rappresentazione del licenziamento con le
modalità già descritte era idonea a suscitare il timore nella parte, nonché la
notevolezza del male, in quanto si trattava della perdita del posto di lavoro
per entrambi i coniugi con ovvie ripercussioni disastrose sul menage familiare.
In terzo luogo,
l’ingiustizia della minaccia, in quanto, come si è visto, non è vero che il
ricorrente - pur avendo indebitamente riempito il foglio di presenza – aveva
perpetrato gli illeciti disciplinari cosi come contestatigli, nonché la lesione
del diritto soggettivo di entrambi i coniugi al posto di lavoro.
L’atto di dimissioni va
quindi annullato.
A tale annullamento,
però, non possono conseguire gli effetti richiesti dall’istante, ovvero la sua
reintegrazione ed il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18 SL,
trattandosi di norma non applicabile alla fattispecie in esame.
La reintegrazione ed il
risarcimento dei danni ai sensi dell’art. cit. sono rimedi previsti dal nostro
legislatore solo nell’ipotesi di illegittimità del licenziamento irrogato e non
già nell’ipotesi di annullamento delle dimissioni, cui il nostro ordinamento fa
conseguire la differente tutela della continuatività del preesistente rapporto
di lavoro.
Tanto rende superfluo
l’esame della riconvenzionale, subordinata all’ipotesi dell’accoglimento della
domanda di risarcimento del danno.
La condanna alla
rifusione delle spese segue la soccombenza.
Il
Pretore, definitivamente pronunciando, così provvede:
1.
annulla l’atto di
dimissioni posto in essere dal ricorrente il 4.5.93;
2.
condanna la società
alla rifusione delle spese di lite, liquidate in £. 6.000.000 oltre IVA e CAP
in favore del ricorrente;
3.
rigetta ogni altra
istanza.
(così
deciso in Bari, 4.5.99)
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