- Danno
da mobbing tra illecito civile, delitto e responsabilità contrattuale
- di
Giovanni Battista Petti
- Nel
1997 nella mia prima opera "Il risarcimento del danno
biologico" (Utet editore) nel capitolo dedicato al "danno
professionale, rischio da lavoro" consideravo alcune fattispecie
giurisprudenziali, riunite per gruppi omogenei, in cui venivano in
evidenza due interessanti temi: il tema del concorso tra responsabilità
contrattuale ed aquiliana, quando siano lesi diritti fondamentali del
lavoratore sindacalista e del lavoratore in genere; il tema del danno
biologico consequenziale ad una attività illecita del datore di lavoro.
Cinque anni dopo, pubblicando la nuova opera, triplicata per volume e
per aumento di temi sul danno alla persona, per il medesimo editore, ho
finalmente considerato il danno da mobbing (pag. 287 e ss.)
accanto alle figure tradizionali di illecito indicate nel titoletto del
paragrafo, con ulteriori arricchimenti giurisprudenziali.
- La
riflessione da compiere, res melius perpensa, dopo aver
partecipato ad alcuni interessanti convegni, nazionali ed internazionali
sul tema, è che in Italia il diritto giurisprudenziale vivente è
ancora fermo ai buoni rimedi tradizionali, che funzionano attraverso il
giudizio civile, il rito del lavoro, i provvedimenti di urgenza, gli
ordini di ripristino del rapporto, la tutela penale della donna
sottoposta a molestie o ad abusi sessuali.
- E'
una situazione simile a quella francese, e malgrado la lentezza dei
tempi, punisce il datore di lavoro, il preposto, il manager che
prevarica ed ha licenza di licenziare a suo diletto. In realtà nelle
situazioni sopra descritte è possibile, in concreto, individuare una
situazione collaterale di mobbing, che opera come fattore
determinante della condotta illecita, dell'abuso di potere, della
dequalificazione e del licenziamento, ma a questa situazione contestuale
e collaterale non si è attribuita una autonoma rilevanza, perché
l'urgenza della tutela ed i limiti della domanda esigevano una decisione
diversa, di tutela del sindacalista discriminato, non promosso, colpito
da sanzioni disciplinari, dequalificato, la tutela del lavoratore
ingiustamente licenziato che doveva condurre alla reintegrazione nel
posto di lavoro, la giusta riqualificazione del dequalificato, infine la
tutela della donna sessualmente molestata. La situazione collaterale
della vessazione aveva dunque un valore giuridico che non apparteneva
alle ragioni della domanda di giustizia, ma alla prova
dell'inadempimento od alla prova dell'illecito. Prova essenzialmente
orale e non sempre ammessa se non formulata in modo adeguato o non
rilevante rispetto al tema della decisione.
- La
presa di coscienza, da parte dei giuristi e persine di alcuni
volenterosi parlamentari europei e nazionali, della autonomia e della
pericolosità sociale del fenomeno del mobbing, ha consentito le
prime decisioni giurisprudenziali che hanno in qualche modo tipicizzato
la figura del mobbing, considerandolo essenzialmente sotto il
profilo del danno biologico e del danno professionale (come sembra
ammettere l'Inail almeno in sede di convegni).
- Ovviamente
i giudici di merito sono in attesa della conferma delle Corti superiori
e della Corte di Cassazione ed è prevedibile, allo stato del diritto
vivente, che le Corti superiori riconoscano la risarcibilità del danno
biologico da mobbing sulla base della responsabilità aquiliana
(per il neminem laedere) ovvero sulla base della responsabilità
contrattuale ai sensi dello art. 2087 c.c., ma di questo dirò nei
paragrafi seguenti.
-
- Il
suo fondamento costituzionale
- L'esame
del fenomeno e la sua doppia fondazione sulla responsabilità da
inadempimento contrattuale o per la violazione del neminem laedere, non
contrappone due scelte di diverse rationes decidendi. Infatti
anche quando si deduce la responsabilità contrattuale, l'inadempimento
determina la lesione di diritti umani del lavoratore che sono tutti
inviolabili, sia che riguardino la sua integrità psicofisica, sia che
riguardino la sua integrità morale, sia che riguardino la integrità
del suo patrimonio che il lavoro attivo e la retribuzione,
faticosamente, giorno per giorno, contribuiscono a formare.
- Il
mobbing distrugge le risorse umane ed economiche del lavoratore,
e senza alcuna giusta causa. E' la civiltà della prevaricazione e della
discriminazione più becera.
- A
maggior ragione il fondamento costituzionale emerge nel caso di illecito
civile o di delitto finalizzato all'esclusione ed emarginazione del
lavoratore.
- Qui
viene in gioco la lesione diretta del diritto al lavoro, come diritto
soggettivo inviolabile, ovviamente nel momento della sua effettività e
del suo esercizio. Lavoro che non è solo rapporto di gerarchia e
disciplina o di supina obbedienza e mortificazione; lavoro è
collaborazione leale ed operosa, ma è anche vita vissuta
quotidianamente in un ambiente produttivo e sociale, che deve essere
salubre, sicuro, sereno, solidale.
- Il
mobbing distrugge la civile esistenza nei luoghi di lavoro e
produce danni gravissimi, che subisce l'impresa, con la perdita della
produttività, la previdenza per la cura della malattia sociale, lo
Stato per la erogazione della spesa, e direttamente la vittima,
assistita, talora indennizzata, ma sino ad oggi difficilmente risarcita
nella integralità dei danni subiti.
- I
progetti di legge
- Il
primo progetto di legge (n. 1813 del 9 luglio 1996) composto da un solo
articolo, recava la criminalizzazione del mobbing come delitto,
punibili le con la reclusione da uno a tre anni e con l'interdizione dai
pubblici uffici sino a tre anni. La fattispecie penale prevista era la
seguente:
- "Chiunque
cagiona un danno ad altri ponendo in essere una condotta tesa ad
instaurare una forma di terrore psicologico nell'ambiente di lavoro è
punito ..."
- La
nozione, tratta dalla legislazione svedese, presuppone il dolo specifico
da parte del soggetto agente, in quanto la condotta è "tesa"
ossia intesa, indirizzata a creare una forma di terrore psicologico, ma
l'evento di danno deve essere concretamente cagionato, e così
costituisce una condizione di punibilità. Pertanto il giudice penale,
ai fini della imputabilità soggettiva, deve accertare il dolo
specifico, non bastando quello generico, ed il danno in concreto,
restando esclusa la incriminabilità del tentativo e la configurazione
del reato se il danno non si realizza. Come dire che la punibilità del
delitto era prevista per situazioni eccezionali, con la conseguente
irrisarcibilità del danno morale nei casi, frequenti, data la ingenuità
delle assoluzioni con la formula "il fatto non sussiste" o con
quella "il fatto non costituisce reato" e con l'eventuale
preclusione della azione civile per il giudicato esterno tra
danneggiante e danneggiato.
- Soltanto
tre anni dopo appare il Disegno di legge n. 6410 presentato dalla Camera
a firma dell'on. Benvenuto, ex sindacalista. La definizione del mobbing
è decisamente più
completa
e la fattispecie considerata come illecito civile.
- Il
legislatore non adotta la parola "mobbing" ma
l'espressione "violenza e persecuzione psicologica costituita da
atti posti in essere e da comportamenti tenuti dai datori di lavoro
nonché da soggetti che rivestano incarichi in posizione sovraordinata o
di pari grado nei confronti del lavoratore, che mirano a danneggiare
questo ultimo e che sono svolti con carattere sistematico e duraturo con
palese predeterminazione”
- Noto
che è ancora palese la ossessione del dolo specifico, anche se,
correttamente, il danno tentato o verificato non è condizione di
punibilità. Un ulteriore comma (art. 1 comma terzo) descrive le
condotte mobbizzanti e le conseguenze rilevanti, e così determina un
grave problema interpretativo sulla natura ed efficacia della norma
specificante, se di stretta interpretazione, se meramente descrittiva.
- Un
comma finale reca la descrizione del danno biologico rilevante: è il
danno che comporta la menomazione della capacità lavorativa, ovvero
pregiudica la autostima del lavoratore o che si traduce in forme
depressive. Dove è incerta la natura di danno psichico, medicalmente
accettabile, o di danno psichico (come metus, intimidazione
psicologica, tale da indurre apprensione e timore in un soggetto sano di
mente ma prudente di temperamento).
- Un
terzo disegno di legge, n. 4265, presentato al senato il 13 ottobre
1999, a firma sen. Tapparo ed altri, considera il mobbing come
illecito civile e lo definisce come violenze morali e persecuzioni
psicologiche perpetrate in ambito lavorativo mediante una serie dì
condotte illecite, dettagliatamente descritte subito dopo la
definizione. Aggiunge che ai fini dell'accertamento della responsabilità
soggettiva per dolo specifico (la esplicita volontà di recare danno) la
istigazione è considerata equivalente alla commissione del fatto (art.
2). In caso di azione giudiziaria il risarcimento del danno è
espressamente previsto in forma equitativa. Formula ambigua, perché non
si comprende se la equità concerne il solo danno come quantum e
se la equità sia qualcosa di diverso dal principio generale del
risarcimento integrale.
- Un
quarto disegno di legge, n. 4313, presentato al Senato il 2 novembre
1999, a firma del sen. De Luca, segue la medesima tecnica di una prima
definizione generica dello illecito civile (qualsiasi atto e
comportamento da chiunque esercitato allo scopo di provocare in un
ambito lavorativo, un danno al lavoratore) seguito da un comma di
specificazione delle condotte e da un altro comma che descrive il danno
rilevante (danno di natura fisica o psichica che comporta la menomazione
della capacità lavorativa, ovvero pregiudica la autostima del
lavoratore, ovvero si traduce in forme depressive attraverso
atteggiamenti apatici, aggressivi, di isolamento e di demotivazione.
Noto che essendo il danno di natura fisica e psichica, si tratta di un
danno medicalmente accettabile, non di un mero anche se protratto danno
psicologico).
- Un
quinto disegno di legge, n. 6667, presentato alla Camera il 5 gennaio
2000, a firma dell'On. Fiori, considera nuovamente il mobbing come
delitto punibile con la reclusione e la interdizione dagli uffici
pubblici.
- L'illecito
penale è cosi descritto: "Chiunque pone in essere atti di
violenza psicologica o comunque riconducibili ad essa,
inequivocabilmente e strumentalmente finalizzati a provocare un danno
lesivo della dignità fisica e morale, di altri, costretti a subire tali
atti a causa di uno stato di necessità, è condannato etc.",
dove la ingenuità decisiva (ai fini di una quasi certa assoluzione) è
nel requisito dello "stato di necessità" secondo la nozione
data dall'ari. 54 del codice penale. Infatti la vittima prima di
diventare un danneggiato in modo grave, non versa nella necessità di
salvare se stesso da un pericolo attuale, e comunque la prova dello
stato di necessità è particolarmente delicata, aggiungendosi alla
prova del dolo specifico.
- Un
quinto disegno di legge, n. 4512, presentato al senato il 2 marzo 2000,
dai Senatori Tomassini e più, considera l'illecito sotto il profilo
della responsabilità civile, sempre adottando la doppia formula della
definizione sintetica (violenza e persecuzione psicologica, con dolo
specifico) e del comma descrittivo della condotta vessatoria tale da
modificare la personalità del lavoratore e da indurlo ad abbandonare il
lavoro (art. 1).
- Il
disegno di legge è probabilmente il migliore fin qui congegnato,
prevedendo un organismo interno di tutela con compiti di prevenzione e
di prescrizione inibitoria al datore di lavoro. E' inoltre previsto il
risarcimento integrale dei danni, secondo le leggi vigenti (incluso il
danno da colpa aquiliana) e la reintegrazione nel posto di lavoro nel
caso di dimissioni (essendo implicita la reintegrazione nel caso di
licenziamento anche formalmente legittimo).
- Le
azioni di tutela giudiziaria appartengono alla competenza del giudice
del lavoro, che liquida il danno in forma equitativa (art. 7). La
formula non è ambigua perché si tratta del danno biologico da mobbing
e la equità deve tendere al risarcimento integrale, mentre per i
danni morale, esistenziale e patrimoniale, il risarcimento segue i
criteri del diritto vivente ed è sempre per la integrante, altrimenti
sarebbe un indennizzo.
- Un
sesto disegno di legge, presentato al senato il 25 settembre 2000
dall'On. Magnalbò riprende la concezione dello illecito civile come
"violenza fisica, comprese le molestie sessuali e la persecuzione
psicologica (violenza morale?) nell'ambito dei rapporti di lavoro,
secondo la doppia formula ormai tralaticia".
- Questi
primi disegni di legge illustrano la XIII legislatura e sono decaduti
dopo lo scioglimento delle Camere.
- Nella
XIV legislatura il Senatore Magnalbò ha diligentemente riproposto il
proprio disegno di legge (n. 442 presentato il 9 luglio 2001), ed un
secondo disegno, sempre al Senato (n. 870, presentato il 21 novembre
2001), a firma del sen. Costa, riproduce fedelmente il testo del primo.
Il miglioramento testuale consiste nella più analitica descrizione
delle condotte vessatorie, secondo un catalogo indicativo, ma sempre con
la precisione della intenzione dolosa del soggetto agente.
-
- Tra
diritto penale e diritto civile
- Abbiamo
visto, de ture condendo, un orientamento dei parlamentari
italiani diretto alla criminalizzazione del mobbing attraverso
autonoma fattispecie da inserire nel titolo XII del Codice penale, tra i
delitti contro la persona, con la particolare aggiunta della qualità
del soggetto passivo, che è un lavoratore.
- Il
legislatore cosi verrebbe ad escludere il mobbing praticato dai
lavoratori per intimidire e vessare i preposti ed i dirigenti, o per
ammorbidire certe rigidità, resistenze o riduzione di retribuzioni o di
posti di lavoro, praticate dal management.
- Resta
fuori dal mobbing la vessazione della parte forte.
- La
utilità di una tipicizzazione mi sembra evidente, se si vuol dare forza
e speranza al lavoratore vessato, anche per la soddisfazione di una
condanna penale e per il
conseguimento
di un danno morale esemplare.
- Ma
è impensabile nella situazione politica attuale una ulteriore
criminalizzazione delle parti forti e del resto, un eccesso di
criminalizzazione porterebbe alla esasperazione di un conflitto sociale
in situazioni di crisi della grande, media o piccola impresa.
- Del
resto, quando le condotte mobbizzanti si concretano in violenza fisica o
morale, in minacce, in molestie, in offese dell'onore e della
reputazione, esistono di già, nel codice penale, norme appropriate che
tutti conosciamo.
- La
tipicizzazione dello illecito penale condurrebbe ad una sovrapposizione
con le concorrenti norme penali e dovrebbe applicarsi il principio della
prevalenza della legge speciale: ma nel caso di lesioni gravi o
gravissime o di induzione al suicidio, la pena edittale proposta nei
disegni di legge è addirittura più favorevole al reo.
- Dunque
occorre considerare con maggiore attenzione la pena edittale ed il
sistema delle aggravanti.
- La
fattispecie penale, nei disegni e progetti di legge, include solo il
dolo specifico; si tratta di una ingenuità o di un errore di
prospettiva. Nella esperienza di lavoro le vessazioni e le
discriminazioni, anche se protratte nel tempo, sono per la gran parte
colpose, ed essenzialmente colposa e per omissione è la condotta del
datore di lavoro, specie nel caso di mobbing orizzontale
(praticato dai colleghi), ma anche nel caso di mobbing verticale
(praticato dai preposti) od aziendale (praticato dai manager).
- Se
non si prevede, per legge, anche la colpa, la utilità della norma
penale sarà gravemente ridotta; con l'ulteriore conseguenza che per
effetto della tipicizzazione, il danneggiante assolto perché il fatto
non costituisce reato, potrà sostenere che anche le note dell'illecito
civile coincidono con quelle del fatto reato, inclusa la nota soggettiva
del dolo.
- Tesi
errata, perché la struttura dello illecito penale non coincide con
quella dello illecito civile, sia per le diverse regole della
responsabilità civile per alcuni criteri di imputabilità (diversità
che si nota proprio a carico del datore di lavoro, gravato da regole di
sicurezza e dalla norma speciale dello art. 2087 c.c. da interpretarsi
unitamente all'art. 41 secondo comma della Costituzione), sia per la
diversità tra danno criminale (che nel mobbing lede
contemporaneamente la libertà e dignità della persona, la sua salute,
e l'ordine pubblico economico nei rapporti di lavoro, come definito
anche dal secondo comma del citato art. 41 della Costituzione) e danno
ingiusto della vittima, che è un danno ingiusto civile, che lede i beni
della vita, la salute, il patrimonio, la integrità morale. La
distinzione tra i due tipi di danno ha rilevanza ai fini del rapporto
tra cosa giudicata penale e poteri di cognizione del giudice civile,
tenendo anche in considerazione i limiti soggettivi ed oggettivi del
giudicato penale, dopo gli interventi ablativi della Corte
Costituzionale (tra il 1971 ed il 1975) e della riforma del nuovo
processo penale che ha rimosso il principio della unitarietà della
cognizione del medesimo fatto, in favore del giudicato penale.
- Come
illecito contrattuale
- Allo
stato del diritto vigente non esiste una fattispecie tipica codificata
di mobbing, e le definizioni proposte dalla letteratura
specialistica lo delimitano nell'ambito dei rapporti di lavoro,
descrivendo o situazioni di terrore psicologico o di violenza psichica o
morale, che incidono sia sulla integrità psicofisica della vittima, sia
sulla integrità morale ed esistenziale,
sia sulla sua tasca ed infine sulla esistenza stessa del rapporto di
lavoro (con licenziamenti ingiusti o dimissioni forzate).
- Un
rimedio tradizionale suggerito sia dalla dottrina laburistica e dai
civilisti (vedi per
tutti
l'opera di Monateri, Bona ed Oliva, MOBBING, VESSAZIONI SUL
LAVORO, Giuffrè
edit.
2000) e condiviso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 5491 del 2
maggio 2000.
- Poiché
alla giurisprudenza dedico un apposito paragrafo, in questa sede le
riflessioni
sono
di ordine logico sistematico generale.
- La
prima questione concerne la risposta al seguente quesito: la condotta
configurabile come mobbing, tenendo conto delle caratteristiche
concrete della situazione vessatoria e delle sue conseguenze
determinanti un danno ingiusto, costituisce un inadempimento
contrattuale da cui far derivare una richiesta di risarcimento danni per
inadempimento ai sensi dell'alt. 1223 c.c.?
- La
risposta, per il diritto positivo, si desume correlando l'art. 1223 (ed
in taluni casi di obbligazioni di non fare considerando anche l'art.
1222 c.c.) all'art. 2087 del codice civile, che è norma imperativa ed
inderogabile, perché attiene all'ordine pubblico economico nei rapporti
di lavoro (secondo la tradizionale ratio legis corporativa nel
1942 e costituzionalizzata dall'art. 41 secondo comma della Cost. dopo
il 1948).
- Questa
norma integra come effetto naturale il contenuto del singolo rapporto di
lavoro e dunque l'imprenditore (e per analogia iuris qualsiasi
datore di lavoro, pubblico o privato) ASSUME L'OBBLIGO DI ADOTTARE
nell'esercizio dell'impresa o della prestazione lavorativa, tutte le
misure che secondo la particolarità del lavoro, la esperienza e la
tecnica, sono necessario a tutelare la INTEGRITÀ' FISICA E LA
PERSONALITÀ' MORALE DEI PRESTATORI DI LAVORO.
- Considero
le due situazioni tipo di mobbing orizzontale (tra colleghi) o di
mobbing verticale, diretto o indiretto o per interposta persona
(tra il i capo, o il preposto o il suo missus).
- MOBBING
ORIZZONTALE.
La difesa del datore di lavoro sarà la seguente:
- non debbo rispondere del fatto
illecito altrui (i colleghi vessatori) e la vessazione non dipende dalla
mancanza di misure appropriate per rendere serena e non conflittuale la
vita lavorativa aziendale.
- La
pretesa del lavoratore potrà essere articolata, chiedendo di provare:
- a.
la esistenza della
lesione della
integrità psicofisica come conseguenza
dello inadempimento dell'obbligo di protezione, date le
circostanze ambientali e la durata e la esternazione delle condotte
vessatorie;
- b.
la esistenza del nesso di causalità tra tale evento dannoso e
l'espletamento della prestazione lavorativa (v. sul punto Cass. 21
dicembre 1998 n. 12763);
- c.
la
imputabilità soggettiva della condotta inadempiente, essendo il datore
consapevole di quanto avveniva in fabbrica o in azienda o sul luogo del
lavoro, o potendo essere consapevole della situazione utilizzando
l'organizzazione gerarchica e di controllo del personale.
- Se
il lavoratore prova l'inadempimento contrattuale, non avendo il datore
di lavoro ottemperato all'obbligo di protezione della integrità
psicofisica e della integrità della personalità morale (lo art. 2087
è norma speciale rispetto all'art. 2059 e dunque non
- presuppone,
per la lesione della integrità morale, il fatto reato) il regime
probatorio è quello dell'art. 1218 c.c. ed è il datore di lavoro che
deve dare la prova contraria dimostrando di aver ottemperato allo
obbligo di tutela delle condizioni di lavoro.
- La
migliore dottrina poi suggerisce di costituzionalizzare la lettura
dell'art. 2087, sia correlandolo al secondo comma dell'art. 41 della
Costituzione, nel senso che il rapporto di lavoro inerisce all'impresa
ed alla sua libera gestione, ma che tale gestione non può recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità della persona umana (cfr.
in tal senso Corte Cost. 18 luglio 1991 n. 7768), sia correlandolo ad
altre norme costituzionali, quali l'art. 2 (posto che il mobbing attenta
alla dignità umana ed alla salute e cioè lede diritti inviolabili
dell'uomo che lavora), o l'art. 3 (per gli odiosi aspetti discriminatori
e di emarginazione del mobbing) o l'art. 32 per la lesione della
salute, o l'art. 4 (per la lesione delle condizioni che rendono
effettivo l'esercizio del diritto di lavoro) o l'art. 37 (per la
particolare posizione della donna lavoratrice).
- La
difesa del lavoratore dovrà fare tesoro di questo orientamento
evolutivo, proprio perché la prova della lesione di diritti inviolabili
umani, ma inerenti allo status di lavoratore, non solo giustifica
la legittimazione attiva e l’an debeatur, ma evidenzia la
contestualità dello inadempimento contrattuale e la plurioffensività
della condotta da cui scaturiscono, come conseguenza diretta e immediata
(artt. 1223 e 1224 c.c.), una serie di danni. Accanto alle norme
costituzionali, ma in posizione subordinata, si trovano poi le norme
statutarie e le norme speciali che disciplinano e tutelano la vita
sindacale, il diritto di sciopero, la sicurezza sul lavoro e quanto
altro sia stato positivamente previsto per garantire sicurezza, salute e
serenità nel posto di lavoro e nello svolgimento quotidiano delle
mansioni lavorative.
- Occorre
allora arricchire la causa petendi in relazione all'inadempimento
considerando la vasta rete di tutela delle condizioni di lavoro, mentre
la lesione dei diritti del lavoratore dovrà essere costituzionalmente e
positivamente fondata per arricchire le voci del danno ingiusto da
risarcire a titolo di inadempimento contrattuale e dunque fruendo del
maggior termine di prescrizione della azione risarcitoria (in questa
direzione v. Cass. 2000/5491 citata).
- La
necessità di costruire le nuove regole della civiltà del lavoro,
partendo dal basso e dai rapporti di quotidianità della vita
lavorativa, è un'esigenza che la Cassazione, sezione del Lavoro, ha
ritenuto di dover sottolineare più volte e da ultimo nella sentenza 18
gennaio 1999 n. 434, dove si afferma il seguente principio di diritto:
- -
il comportamento delle parti nel rapporto lavorativo deve conformarsi,
oltre che ai principi dell'ordinamento, della correttezza e della buona
fede anche ad una serie di standards valutativi esistenti nella
realtà sociale che assieme ai predetti principi compongono il diritto
vivente, ed in materia di diritti di lavoro la cd. "civiltà del
lavoro".
- Non
si tratta di un obiter utopistico, ma di realismo positivo in una
visione promozionale ed evolutiva del diritto dal volto umano, specie
quando la vittima è il lavoratore. Nel caso di MOBBING VERTICALE
la situazione vessatoria potrà essere semplice o diretta, nel caso in
cui sia il manager o il datore di lavoro ad assumere l'iniziativa della
persecuzione e della emarginazione; ma potrà essere più complessa o
indiretta, nei casi in cui l'imprenditore non voglia esporsi di persona,
ma utilizzi il sistema di deleghe, di ordini o insinuazioni orali, in
modo da avvalersi del fiduciario, dell'agente provocatore, del preposto.
- In
questi casi il mobbing assumerà costantemente la non
responsabilità per il fatto illecito altrui o per aver delegato i
poteri nella gestione di una complessa impresa, divisa in vari comparti
e varie attività. La strategia della mobbizzazione aziendale viene
allora economicamente giustificata con le esigenze di mercato, con la
flessibilità in uscita e gli ammortizzatori sociali.
- Ma
a questo punto il problema diventa politico, e non sempre chi si occupa
della politica del lavoro può occuparsi delle singole sventure.
- Come
illecito aquiliano
- La
scelta dei mezzi di difesa compete al lavoratore danneggiato ed al suo
difensore, e dunque la richiesta risarcitoria può essere fondata sul
principio del neminem laedere e sulla responsabilità aquiliana
ai sensi dello art. 2043 del codice civile (cfr. Cass. 21 dicembre 1998
n. 12763).
- Si
tratta di una scelta strategica, che deve essere ben ponderata dal
difensore, per la ragione che il regime della responsabilità civile da
inadempimento contrattuale è diverso, ma non necessariamente migliore
(eccetto che per il termine di prescrizione ordinario anziché breve)
del regime della responsabilità extracontrattuale.
- Partiamo
dalle fattispecie tipo del mobbing orizzontale (tra colleghi) e
del mobbing verticale (del capo, del boss).
- Nella
prima situazione la scelta della responsabilità extracontrattuale
consente al lavoratore sia di svolgere direttamente la difesa contro gli
offensori (che hanno solitamente scarse risorse economiche) sia di agire
contro il datore di lavoro, ai sensi del combinato disposto degli artt.
2049 e 2055 c.c.
- La
prima norma, secondo un orientamento giurisprudenziale, determina una
presunzione di colpa in eligendo o in vigilando (Cass. 22
marzo 1994 n. 2734) con conseguente onere della prova, a carico del
datore di lavoro, circa la dimostrazione che l'illecito è del tutto
estraneo al rapporto ed all'ambiente di lavoro; secondo altro
orientamento (Cass. 29 agosto 1995 n. 9100) considera la responsabilità
del "padrone" per il fatto del dipendente, come responsabilità
oggettiva presunta dalla legge, senza che rilevi la dimostrazione della
assenza di colpa. Conseguentemente, la sentenza penale di assoluzione
del datore di lavoro con qualsiasi formula non preclude l'azione civile
di danno.
- Quale
che sia l'orientamento preferibile (e certamente è, per il lavoratore,
quello della responsabilità oggettiva) il regime extracontrattuale è
migliore di quello contrattuale, quanto agli oneri della prova ed alle
presunzioni, ed inoltre, nel caso di responsabilità oggettiva esonera
il lavoratore dalla prova inerente alla consapevolezza o meno, del
datore di lavoro, dei fatti lesivi commessi dai dipendenti o dal
preposto. Nel caso di mobbing verticale commesso dal preposto, è
ancora invocabile il combinato disposto tra l'art. 2049 e lo art. 2055
c.c.; nel caso di mobbing commesso dal datore di lavoro, dal
manager o dal "padroncino" l'azione, proposta ai sensi degli
artt. 2043 e 2059 (per i danni morali) non può giovarsi della
disciplina dello art. 2049, ma è forse preferibile alla disciplina
dello inadempimento contrattuale per il nesso di causalità e per la
esclusione del limite di risarcibilità di cui allo art. 1225 del codice
civile.
- Per
il nesso di causalità osservo che il neminem laedere si fonda
sulle regole della causalità adeguata o della conditio sine qua non (artt.
40 e 41 c.p.), mentre il nesso di
causalità
per l'inadempimento è scritto nell'alt. 1223 c.c. come
"conseguenza immediata e diretta di un inadempimento o di un
ritardato adempimento". Ancora: il nesso di causalità
dell'illecito civile è diverso dalle regole sulla prova del danno, che
dipendono dalla natura del danno, patrimoniale, non patrimoniale,
biologico, esistenziale.
- Occorre
poi considerare che malgrado l'art. 2087 c.c. consideri l'obbligo della
tutela della personalità morale come obbligo contrattuale, non è detto
che, in sede di richiesta risarcitoria, per il ristoro del danno non
operi il limite dello accertamento del fatto reato. Ritengo che,
attraverso la costituzionalizzazione dello art. 2087 c.c., debba essere
preferita l'interpretazione evolutiva, secondo cui si tratta di norma
specifica per la materia della responsabilità contrattuale e dunque è
alternativa alla diversa tutela extracontrattuale prevista dallo art.
2059 c.c.
- Due
questioni procedurali. La prima concerne il giudice competente, giudice
ordinario o giudice del lavoro; la seconda concerne il cumulo delle
domande di responsabilità al fine della delimitazione della causa
petendi e del petitum.
- Alla
prima questione rispondo nel senso che conviene privilegiare la
competenza ratione materiae del giudice del lavoro e del rito del
lavoro, che agevola l'attività difensiva del lavoratore e consente al
giudice di intervenire sulla indicazione delle prove e sulla loro
ammissione, anche di ufficio (art. 421 c.p.c.) e anche nel caso in cui
la pretesa risarcitoria sia in tutto o in parte fondata sulla
responsabilità aquiliana (Cass. 8 settembre 1999 n. 9539).
- In
tale direzione è consolidata la giurisprudenza del lavoro, anche se, in
linea di tesi mi sembra ammissibile anche una azione ordinaria per
illecito dinanzi al giudice ordinario.
- Resta
poi da approfondire l'impatto della riforma della giurisdizione, ai fini
dell'eventuale competenza del TAR per illecito riferibile al datore di
lavoro pubblico.
- La
seconda questione attiene alla possibilità del concorso tra
responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale, attraverso la
proposizione di unica domanda risarcitoria. La supercitata massima della
Cassazione (Cass. 21 dicembre 1998 n. 12541) che ammette il cumulo delle
domande, merita un controllo ed una riflessione sulla motivazione.
- Infatti
a fronte di una domanda ambivalente, la controparte potrà esigere che
la domanda sia specifica sin dalla replica all'atto introduttivo (artt.
63 nn 3 e 4 c.p.c. e 183 c.p.c.) ma la parte attrice ha il diritto di
fondare la propria causa petendi sia sulle ragioni di
responsabilità contrattuale sia su quelle proprie della responsabilità
extracontrattuale, per una considerazione fondamentale.
- Il
mobbing consiste in una serie duratura di atti, tra di loro
coordinati, che indeboliscono progressivamente le difese psichiche e
morali del lavoratore, la sua capacità lavorativa, la presenza sul
luogo del lavoro.
- L'utilità
della figura giova alla costruzione di un illecito unitario, ma che ha
note di complessità, di plurioffensività, e pertanto produce una serie
di danni progressivi che possono poi determinare l'evento della perdita
del lavoro, ma possono anche determinare un danno psichico, una
malattia, un suicidio, o, nel migliore dei casi, un danno esistenziale.
- E'
evidente che la dottrina riduzionista, a fronte di un illecito che
produce molti danni, patrimoniali e non, proponga soluzioni mirate, ad
esempio esigendo dal difensore sprovveduto del lavoratore, che precisi
la natura dell'azione o della causa petendi, ed affermi che la
pluralità consiste nella duplicazione o triplicazione seriale dei
medesimo danno.
- Ma
si tratta di una dottrina non condivisibile, per una ragione di fondo.
- La
tutela dei diritti umani inviolabili interessa anche il lavoratore, e
l'esempio di danno sociale emergente è quello che stiamo esaminando.
- Siamo,
in attesa di una improbabile tipicizzazione penale o civile (ma i poteri
forti potrebbero organizzare un Comitato scientifico che consideri
unitariamente e globalmente la liquidazione del danno, affidandone la
valutazione ed arbitrati irrituali), nell'ambito di una normale tutela
giurisdizionale da responsabilità civile.
- Il
giurista non crea alcuna nuova tipologia di danno, né il giudice crea
una nuova figura di danno. Il giudice esamina una domanda risarcitoria
da inadempimento ovvero una domanda risarcitoria per una serie di danni,
fondata anche su ragioni di responsabilità extracontrattuale. Se le
domande sono provate e fondate dovrà accoglierle.
- Quanto
poi ai problemi di etichettatura, la giurisprudenza è ancella della
dottrina, anche quando si usano espressioni in lingua estera. Conta
molto la lettura costituzionale del sistema della responsabilità
civile, proprio perché questa lettura evolutiva, sostenuta dai giudici
del merito, ma convalidata dai principi di diritto della Corte di
Cassazione e dalle pronunce e dal metodo insegnato dalla Corte
Costituzionale, concorre alla tutela ed allo sviluppo dei Diritti Umani,
inclusi quelli del lavoratore.
- Conclusioni
- Le
informazioni sin qui svolte, de iure condendo, evidenziano l'alternatività
della scelta dei rimedi, con la tipicizzazione dell'illecito, sia in
sede penale sia in sede civile, con una tecnica descrittiva che assume
rilevanza per la struttura oggettiva di illecito con evento di danno
biologico. Ora, mentre può essere utile la tipicizzazione penale, che
rende certo il risarcimento del danno morale (art. 2059 c.c.) che
altrimenti non sarebbe dovuto per atti di vessazione non costituenti
reato, appare del tutto superflua la tipicizzazione civile che ha
l'effetto perverso di delimitare La responsabilità civile ad ipotesi di
dolo specifico, quando è a tutti noto che le più frequenti anche se
durature vessazioni avvengono in situazioni di colpa per negligenza, per
mancato controllo, per distratta o compiaciuta tolleranza, senza che sia
possibile, per la vittima di dimostrare la esistenza di una pervicace
intenzione dolosa che si estenda alla previsione specifica del danno
biologico ed al fine specifico di allontanare il lavoratore dal posto di
lavoro.
- Per
l'illecito civile è certamente migliore la tutela attualmente vigente,
che reca la imputazione soggettiva nel vasto ambito delle condotte
colpose e dolose.
- Giovanni
Battista Petti
- Consigliere
della III Sezione Civile della Suprema Corte, Ambasciatore dei Diritti
Umani dell'Associazione Valore Uomo