- IL
MOBBING: INFORMAZIONE PER I DATORI DI LAVORO, DIRIGENTI E LAVORATORI
- di
-
Bernardini Andrea, Monti Carlo, Tomei Gianfranco (*)
-
- INTRODUZIONE
- Lo
stress è una condizione di adattamento dell'individuo agli stimoli di
diversa natura provenienti dall'ambiente esterno (stressor) che, se
protratta nel tempo, può evolvere in malattia. Infatti, l'esposizione
cronica ad agenti di natura chimica, fisica e psicosociale è in grado di
agire sull'organismo umano con effetti sia diretti su un singolo organo
bersaglio, sia indiretti attraverso l’attivazione cronica di circuiti
neuro-endocrini e la successiva dis-regolazione che può influire su
diverse funzioni o apparati come il metabolismo, l'apparato
cardiocircolatorio, l'apparato gastroenterico, il SNC, il sistema
immunitario, la psiche, ecc.
- La
cattiva organizzazione del lavoro rappresenta uno dei principali fattori
di origine lavorativa causa di patologie stress-correlate, con costi
elevati in termini salute dei lavoratori, di giornate lavorative perse e
quindi di produttività.
- Nell'elenco
aggiornato delle malattie professionali per le quali vige l'obbligo di
denuncia (1) sono state inserite per la prima volta, tra quelle a
probabile origine lavorativa, le malattie psichiche e psicosomatiche da
disfunzioni dell'organizzazione del lavoro o «costrittività
organizzative». Tra i fattori di origine organizzativo identificati come
un rischio per la salute dei lavoratori figurano, tra gli altri:
l'emarginazione dalle attività lavorative, il demansionamento e
l'inattività forzata (ma anche l'eccessivo carico di lavoro), le forme di
controllo esasperato, i trasferimenti ripetuti e ingiustificati. Tutte
queste condizioni ben si adattano ad un fenomeno in continua crescita nei
paesi industrializzati, noto con il termine di mobbing. Pertanto, occorre
ribadire che il mobbing non è una malattia, ma l'insieme di stressor di
natura psicosociale e di origine lavorativa che se perduranti nel tempo
sono in grado di portare ad una malattia da stress. Considerato che, alla
luce del Decreto del Ministero del Lavoro 27 aprile 2004, qualunque medico
che faccia diagnosi di malattia correlata al mobbing, anche se solo
sospetta, oggi è obbligato a fare le denunce obbligatorie per legge tra
cui quella all'INAIL, appare evidente l'importanza di una definizione e
classificazione chiara del fenomeno al fine di una corretta prevenzione ed
eventualmente del riconoscimento del nesso lavorativo in caso di danno
accertato.
-
- DEFINIZIONE
- Il
mobbing (termine che deriva dall'inglese «to mob» utilizzato in etologia
per descrivere l'accerchiamento e l'aggressione del branco nei confronti
di un animale debole e isolato) viene spesso descritto come un fenomeno di
dimensioni crescenti in tutta Europa e anche in Italia, pur non avendo
ancora una chiara definizione comune in tutti i Paesi. Proprio per questo
motivo, nel nostro Paese, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha
istituito una Commissione, che ha completato i lavori, di analisi e studio
delle cause e delle conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti
dei lavoratori (2) con il compito di dare una definizione precisa del
fenomeno e di individuare i principali provvedimenti e le proposte da
attuare per migliorare l'ambiente di lavoro e le condizioni di salute
psico-fisica del lavoratore.
- Il
fenomeno della violenza morale o psichica in occasione di lavoro viene
descritto dalla Commissione come segue: «Atti, atteggiamenti o
comportamenti di violenza morale o psichica, in occasione di lavoro,
ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale, che portano a un
degrado delle condizioni di lavoro, idoneo a compromettere la salute o la
professionalità o la dignità del lavoratore». Questa definizione
contiene alcuni parametri necessari per attribuire ad azioni vessatorie in
ambito lavorativo la definizione di mobbing, come la durata e la frequenza
dei soprusi che non devono essere isolati ma «ripetuti nel tempo,
sistematici e abituali». Nella «violenza morale o psichica» è insito
l'intento persecutorio o la volontà di ledere.
- La
definizione formulata da Heinz Leymann (3), lo psicologo svedese che si può
considerare a tutti gli effetti lo «scopritore» del mobbing, per averlo
fatto emergere a livello internazionale e avergli dato rilevanza sociale,
è la seguente: «Una forma di terrorismo psicologico che implica un
atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica
- e non occasionale ed episodica - da una o più persone, nei
confronti di un solo individuo il quale viene a trovarsi in una condizione
indifesa e fatto oggetto di una serie di iniziative vessatorie e
persecutorie. Queste iniziative debbono ricorrere con una determinata
frequenza (statisticamente almeno una volta alla settimana) e nell'arco di
un lungo periodo di tempo (per almeno sei mesi di durata). A causa
dell'alta frequenza e della lunga durata del comportamento ostile, questa
forma di maltrattamento determina considerevoli sofferenze mentali,
psicosomatiche e sociali».
-
- LE
DIMENSIONI DEL FENOMENO
- Secondo
una recente indagine della Fondazione di Dublino per il Miglioramento
delle Condizioni di Vita e di Lavoro condotta per conto dell'Unione
Europea (4), l’ 8% dei lavoratori della Comunità, corrispondente a 12
milioni di casi, riferisce di essere stato vittima del mobbing sul posto
di lavoro. L'analisi dei risultati sulla base delle risposte soggettive,
condotta paese per paese, evidenzia le percentuali più elevate nel Regno
Unito (16,3%), in Svezia (10,2%), in Francia (9,9%), in Irlanda (9,4%) e
in Germania (7,3%); l'Italia con il 6,0% precede Spagna, Belgio e Grecia.
- In
Italia il fenomeno del mobbing, in gran parte ancora sommerso, coinvolge
direttamente oltre un milione di lavoratori, su oltre 21 milioni di
occupati (il 4% della forza lavoro), è più diffuso nelle regioni del
Nord (65%), con prevalenza tra i quadri e i dirigenti, con età media di
43 anni, in particolare nel settore pubblico ed in quello dei servizi. Tra
le tipologie di lavoro più colpite, in testa risulta il settore dei
servizi (38%) seguito dalla Pubblica amministrazione (22%), quindi da
scuola ed università (12%), ospedali (8%), commercio (3%) e agricoltura
(2%) (5).
-
- LE
TIPOLOGIE DI MOBBING
- Le
diverse tipologie di mobbing possono essere classificate, a seconda delle
motivazioni che spingono gli aggressori, nella forma emozionale e in
quella strategica.
- Il
mobbing di tipo emozionale può avvenire tra singole persone a causa di
relazioni interpersonali conflittuali; può avvenire tra colleghi di pari
grado (mobbing orizzontale) ma più frequentemente si verifica tra capo e
sottoposto/i (verticale), sia dall'alto, ossia da un superiore verso i
sottoposti, che dal basso, quando l'autorità di un capo viene messa in
discussione dai sottoposti. Il conflitto iniziale può nascere anche da
banali divergenze di opinione, da gelosie, rivalse, competizione,
preferenze e favoritismi del capo, ma anche da differenze di razza,
religione o cultura o, più semplicemente, da diversi stili e condotta di
vita (per esempio, abbigliamento, acconciatura, ecc). Nella forma
emozionale le caratteristiche di personalità del mobber e della vittima
giocano un ruolo senz'altro importante (6).
- Il
mobbing strategico (bossing) può essere attuato intenzionalmente
dall'impresa come strategia aziendale (riduzione, ringiovanimento del
personale, ecc.) per promuovere l'allontanamento dal mondo del lavoro di
soggetti ritenuti scomodi o non più necessari all'azienda: soggetti
appartenenti a gestioni precedenti, impiegati in reparti da dismettere,
soggetti da riqualificare professionalmente, dipendenti divenuti troppo
costosi o che non corrispondono più alle attese dell'organizzazione
(lunghe assenze per congedi parentali, malattie serie, portatori di
handicap, ecc.) (6).
- Sebbene
gli atti di violenza fìsica e le molestie sessuali non costituiscano
mobbing, possono, però, rappresentarne la fase preparatoria: le «attenzioni»
da parte di un dirigente verso una dipendente, se rifiutate, possono
innescare reazioni vessatorie di tipo morale a sfondo sessuale
rappresentate da calunnie, voci, battute, apprezzamenti, allusioni e
diffamazioni sulle abitudini sessuali della vittima (7).
- Il
mobbing spesso viene confuso con un altro fenomeno dalle caratteristiche
simili ma con peculiarità specifiche: il bullismo. Si tratta di un
fenomeno che si manifesta tra i giovani a partire già dall'infanzia,
definito come una forma deliberata di prepotenza o arroganza portata
avanti da una o più persone con l'intento di provocare danno alla
vittima, che si manifesta con comportamenti di terrorismo psicologico come
l'uso di appellativi ingiuriosi, il mettere in giro calunnie finalizzate
all'esclusione sociale, costantemente associati ad aggressioni fisiche
come calci, pugni, estorsione di denaro, ecc.
-
- LE
CAUSE DEL MOBBING
- Profilo
psicologico delle persone coinvolte
- A
partire dalla seconda metà degli anni '70, sono stati condotti numerosi
studi finalizzati a trovare una correlazione tra la personalità delle
persone coinvolte (aggressore/vittima/spettatori) e il rischio di mobbing.
Sebbene alcuni tratti di personalità sembrano ricorrere con maggiore
frequenza soprattutto tra le vittime, non sempre è facile capire se
questi siano antecedenti o piuttosto la conseguenza delle violenze subite.
Inoltre, considerato che in molti casi alla base del fenomeno c'è una
precisa strategia aziendale, ad esempio di esubero o ringiovanimento del
personale, la personalità della vittima perde di importanza. Quindi è
corretto affermare che chiunque, in qualsiasi organizzazione e situazione
lavorativa può essere vittima del mobbing (6), anche se alcune
caratteristiche psicologiche individuali sembrano favorire la comparsa e
l'andamento del mobbing. Le vittime di mobbing sono state descritte come
ansiose, insicure e con una bassa autostima; sono viste dagli altri come
ipersensibili, prudenti, mansueti e non in grado di reagire alle
provocazioni; ma anche scrupolosi e puntigliosi sul lavoro; inoltre, le
persone che annoiano gli altri, che deludono
le
aspettative, poco competenti o che violano le norme di buona
educazione e amicizia possono provocare comportamenti aggressivi negli
altri.
- Il
profilo del «mobber» include la personalità autoritaria e irascibile;
il «piccolo tiranno» che nei rapporti con i colleghi/sottoposti sceglie
un comportamento aggressivo e violento, conosce e accetta in modo attivo
le conseguenze negative per la vittima e non mostra alcun senso di colpa;
i soggetti che esercitano la propria autorità con comportamenti a sfondo
sessuale e quelli che fin dall'infanzia hanno mostrato comportamenti da «bullo».
- Il
terzo attore di questo scenario è costituito dagli «spettatori» che pur
non partecipando direttamente al conflitto, attraverso la loro
indifferenza lo accettano e contribuiscono ad aggravarne le conseguenze.
In genere prendono le distanze dal malcapitato, nel timore di
compromettere i loro rapporti col capo che potrebbe attivare forme di
rappresaglia contro di loro e privarli dei piccoli benefici di cui possono
godere, o, nel caso di mobbing strategico, assistono silenti e
distanziati, fortemente in ansia per le loro sorti future. Non sempre si
tratta di semplice indifferenza, in alcuni casi, infatti, gli spettatori
partecipano attivamente alle persecuzioni sulla vittima diventando dei
fiancheggiatori del mobber («side-mobber») (8).
-
- Caratteristiche
delle relazioni interpersonali in ambiente di lavoro
- I
conflitti interpersonali fanno parte della vita quotidiana in tutte le
organizzazioni e gruppi di lavoro. In alcuni casi, però, il clima sociale
sul luogo di lavoro si guasta fino a creare conflitti che possono
trasformarsi in violenti scontri tra due o più persone, fino a divenire
vere e proprie guerre di fazioni in ufficio, dove la distruzione totale
dell'avversario è vista come fine ultimo per guadagnarsi la stima e la
fiducia di una parte o di un capo. In questi conflitti di gravità
crescente le parti spesso negano il valore umano dell'oppositore, aprendo
così la strada ai sabotaggi, alle ritorsioni, fino all'eliminazione e
distruzione dell'avversario. Se una delle parti si pone in posizione
svantaggiata in questo conflitto, può diventare la vittima delle
vessazioni. Sia Leymann che
Einarsen hanno
ipotizzato che i conflitti interpersonali irrisolti possano aggravarsi in
mobbing qualora non vengano messi in atto interventi appropriati e
strategie di gestione dei conflitti.
- Secondo
una vasta letteratura di studi, invece, le vessazioni e le aggressioni
morali sul più debole sono un meccanismo insito in tutti i tipi di
relazione sociale umana, quindi possono essere considerate una
caratteristica innata al genere umano. All'origine della cultura umana,
all'origine del nostro linguaggio, delle nostre pratiche quotidiane, sta
un unico principio, quello del capro espiatorio (9). La vittima è
l'innocente che catalizza l'odio, l'invidia e i risentimenti della comunità
e catalizza lo sfogo e le proiezioni di impulsi inaccettabili, di
conflitti e di colpe, rivestendo, in questo modo, un ruolo sociale
necessario nelle organizzazioni e nei gruppi di lavoro. L'accentramento
dell'aggressione sul capro espiatorio, infatti, alleggerisce la tensione e
il conflitto all'interno del gruppo di lavoro. Si tratta di una vittima
sacrificale, vittima di una comunità in crisi che non sa riconciliarsi se
non a spese del terzo. Questa teoria antropologica considerando il mobbing
come il risultato inevitabile di conflitti insiti nei gruppi di lavoro
offre un punto di vista pessimistico sulla possibilità di eliminare il
mobbing nelle organizzazioni umane.
- Lo
psicologo tedesco Harald Ege (10), che da circa dieci anni fa ricerche sul
fenomeno del mobbing in Italia, ha elaborato un modello a sei stadi,
tenendo conto delle peculiarità del mondo del lavoro nel nostro paese. La
«Condizione Zero» è la fase da cui origina il mobbing conclamato. Si
tratta di una condizione di conflittualità generalizzata all'interno
dell'azienda o di qualsiasi altro luogo di lavoro, ma senza che vi sia
ancora una vittima definita. È una condizione che può trovarsi più o
meno frequentemente nella realtà lavorativa italiana, dove un certo
livello di ostilità nei rapporti interpersonali è considerato
fisiologico e tollerato. Il mobbing vero e proprio inizia quando si
stabilisce un conflitto mirato in cui si individua una vittima e verso di
essa converge la conflittualità generale. Iniziano gli attacchi e i
comportamenti persecutori che aumentano di frequenza fino a diventare
continui. La vittima può manifestare i primi sintomi psico-somatici:
cefalea, vertigini, tachicardia, gastralgia, tremori, dermatosi, disturbi
del sonno, ecc. A questo punto il caso diventa pubblico anche perché la
vittima richiede diversi permessi per malattia o consulti medici; è
facile valutare erroneamente la situazione e giudicare colpevole dello
stato dei fatti chi in realtà è vittima. Rapidamente compaiono gli
effetti sulla salute psico-fisica della vittima con gravi forme
depressive, dell'adattamento cronico e disturbo post-traumatico cronico da
stress (come sarà successivamente esposto). L'esito del mobbing è
l'eliminazione del lavoratore dal posto di lavoro che può avvenire con le
dimissioni volontarie, con il licenziamento e nei casi estremi anche con
il suicidio.
-
- Fattori
legati all'organizzazione e alle condizioni del lavoro
- Secondo
Leymann le caratteristiche
della personalità della vittima e/o dell'aggressore sono ininfluenti
nella determinazione del mobbing rispetto alle disfunzioni organizzative
del lavoro che rappresentano, quindi, la causa principale delle vessazioni
sul lavoro.
- I
fattori organizzativi sono legati soprattutto alla qualità delle
relazioni sociali e dei contenuti del lavoro. I numerosi studi effettuati
in materia presentano una gamma di situazioni, che possono favorire o
provocare il mobbing, molto vasta ma proprio per questo spesso in
contraddizione tra di loro, per cui non è facile attribuire il giusto
peso alle singole situazioni. C'è uniformità di giudizi nel considerare
come fattori di rischio uno scorretto esercizio della leadership basata
sull'eccessivo autoritarismo, la mancanza di discussione e programmazione
dei tempi e degli obiettivi del lavoro, il basso flusso di informazioni,
il difetto di autonomia nella gestione del lavoro, l’
ambiguità degli obiettivi da raggiungere, il controllo esasperato dei
tempi di lavoro e le eccessive richieste in termini di performance e
carichi di lavoro; ma vengono anche riportate come situazioni a rischio il
lavoro monotono e i bassi obiettivi da raggiungere. L'origine del mobbing
si può pertanto definire come multifattoriale, derivando dalla
combinazione e dalla presenza contemporanea di fattori organizzativi,
personali e relazionali, insieme ad un certo livello di conflittualità
considerato da alcuni insito nelle relazioni umane.
-
- I
COMPORTAMENTI
- È
opinione condivisa che gli atti di violenza morale sul luogo di lavoro per
essere considerati mobbing devono essere ripetuti nel tempo, un unico
episodio seppur grave non è sufficiente a determinare il fenomeno. Nel
corso degli anni, quindi, numerosi e importanti studiosi hanno cercato di
individuare e classificare i comportamenti che se reiterati possano
configurare l'ipotesi di mobbing. Ma è Leymann che
definisce le azioni tipiche di terrore psicologico sul luogo di lavoro,
classificandole secondo diverse forme di manipolazione: della reputazione
della vittima; della sua possibilità di svolgere il lavoro assegnato,
delle possibilità di comunicazione della vittima con i colleghi e delle
sue relazioni sociali; inoltre sono inclusi comportamenti di aggressione e
coercizione fìsica o di minacce. Dalle osservazioni effettuate nel corso
degli anni, a partire dai risultati di Leymann, oggi è possibile
descrivere le azioni «mobbizzanti» in cinque tipologie a seconda delle
diverse modalità di condotta degli aggressori, come segue:
- 1)
attacchi alla possibilità di comunicare: la vittima subisce una
forte e costante limitazione alle possibilità di comunicare con i
colleghi oltre ad impedimento sistematico e strutturale all'accesso a
notizie riguardo ad informazioni inerenti al lavoro, attraverso una
privazione dei mezzi di comunicazione (telefono, computer, ecc.), il
blocco del flusso di informazioni necessarie al lavoro, l'estromissione
dalle decisioni, l'esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad
iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
(11)(7);
- 2)
attacchi alle relazioni sociali con un vero e proprio isolamento
fisico della vittima, che viene trasferita in luoghi isolati affinché sia
costantemente escluso da ogni dialogo e forma di comunicazione all'interno
del gruppo di lavoro, e impedendo così che gli altri lavoratori gli
rivolgano la parola, negando in definitiva la sua presenza (11) (7);
- 3)
attacchi all'immagine sociale e reputazione del lavoratore che
diviene bersaglio di offese e insulti sul piano personale, professionale
(ad esempio gli vengono impartiti ordini contraddittori per indurlo in
errore e discreditarne le capacità lavorative), convinzioni religiose,
sessuali, morali, ecc. (11) (7);
- 4)
attacchi alla qualità professionale caratterizzati da veri e
pro-pri «sabotaggi» (sparizione di strumenti necessari per eseguire il
lavoro, assenza di manutenzione di dispositivi e apparecchi); incarichi
umilianti, senza senso o comunque non confacenti alle competenze del
lavoratore, fino al progressivo demansionamento che porta ad un crollo
dell'autostima; spostamenti immotivati di sede; ossessivo controllo su
orari di lavoro, telefonate, tempo passato a fare fotocopie o alla
macchina del ristoro, ecc. (11) (7);
- 5)
attacchi alla salute come l'affidamento di mansioni gravose o
pericolose, il confinamento in luoghi insalubri (es. stanza della
fotocopiatrice), la negazione di periodi di ferie o di congedo (11) (7).
-
- IL
MOBBING COME FATTORE DI STRESS (STRESSOR)
- Gli
stimoli sensoriali, vale a dire tutti quegli stimoli di diversa natura
provenienti dall'ambiente esterno, vengono recepiti ed interpretati dal
Sistema Nervoso Centrale (SNC) attraverso le informazioni raccolte dai
cinque organi di senso. Uno stimolo esterno, quando applicato cronicamente
(mobbing), si comporta da stressor in grado di alterare in maniera
permanente la complessa rete di connessioni esistenti tra SNC, sistema
neuroendocrino, sistema immunitario e altri organi e apparati provocando
la comparsa di manifestazioni cliniche. I principali stressor di natura
psico-sociale connessi con l'organizzazione lavorativa sono correlati, tra
l'altro, al carico di lavoro (eccessivo o irrisorio), ai ritmi e agli
orari di lavoro, alle competenze richieste, al grado di incertezza, al
livello di partecipazione e decisione e alle relazioni interpersonali sul
posto di lavoro. Le modalità di risposta agli stressor oppure gli
atteggiamenti che si utilizzano per fronteggiare un determinato problema («coping»)
non dipendono però solo dalla natura e dall'organizzazione del lavoro,
sono influenzate anche dalla componente individuale che ha un ruolo
fondamentale nel diverso adattamento del singolo lavoratore a situazioni
potenzialmente lesive: l'età, la personalità, lo stile di vita, la
formazione professionale, lo stato di salute fisico e mentale, ma anche lo
stato delle relazioni e il supporto a livello familiare (12).
- Il
centro di questa rete di adattamento comportamentale e neuroendocrino agli
stressor è rappresentato da particolari aree del cervello costituite da
una componente più vecchia (ippocampo e amigdala), strettamente connessa
a zone più recenti (talamo e ipotalamo).
- La
risposta a stressor di natura psicosociale (come ad esempio la paura, il
confinamento, l'esposizione ad un ambiente nuovo od ostile) viene prima
elaborata all'interno delle zone del cervello suddette attraverso un
meccanismo di processazione dell'informazione che dipende fortemente dalle
esperienze passate e quindi dalla memoria cosciente o inconscia dello
stressor stesso, quindi viene attivata la vera e propria risposta agli
stressor. Esistono due principali sistemi di risposta agli stressor: il
primo è costituito dall'asse degli ormoni (ipotalamo-ipofisi-corticosurrenale)
(13); il secondo è rappresentato dall'adrenalina del surrene, dalla
noradrenalina liberata dalle terminazioni nervose del sistema nervoso
simpatico, ma anche da alcuni neurotrasmettitori che operano all'interno
del cervello come la serotonina e la dopamina (14).
- Le
strutture del cervello sopra elencate con il sistema ormonale si
bilanciano a vicenda in modo da mantenere l'organismo in situazione di
equilibrio (omeostasi) (15).
- Si
riporta come esempio che l'aumentata concentrazione plasmatica di
cortisolo (che è il corrispettivo del farmaco cortisone) è responsabile
di effetti sul metabolismo, sul trofismo muscolare, sul rimodellamento
osseo, sull'attività cardiocircolatoria e sul sistema immunitario (in
particolare modificando i livelli di citochine), determina la comparsa di
iperglicemia, ipercolesterolemia, iperlipidemia, ipertiricemia, atrofia
muscolare, osteoporosi, arteriosclerosi ed immunosoppressione. Mentre
l’attivazione dell’asse degli ormoni (ipotalamo-ipofisi-corticosurrenale)
è essenziale per le funzioni vitali, una stimolazione persistente,
ripetitiva e a lungo termine, conduce all'esaurimento e alla possibile
comparsa di patologie psichiche, psicosomatiche e anche organiche. Elevati
livelli cronici di cortisolo (cortisone), infatti, sono stati dimostrati
con certezza nella depressione, mentre una riduzione dello stesso da
esaurimento del sistema si osserva frequentemente nel disturbo
post-traumatico da stress. L'iperincrezione delle adrenaline influenza
l'apparato cardiovascolare inducendp un aumento della pressione arteriosa
e della frequenza cardiaca, e altri organi bersaglio.
-
- MALATTIE
CORRELATE,
MALATTIE PSICHICHE E PSICOSOMATICHE RICONOSCIUTE DAL D.M. 27 APRILE 2004
- Disturbo
dell'adattamento cronico
-
Il
disturbo dell'adattamento cronico, la forma più frequente di malattia
psico-somatica correlata al mobbing, si manifesta con sintomi emotivi e
comportamentali clinicamente significativi, in risposta ad uno o a più
stressor identificabili.
- Per
definizione, i sintomi devono comparire entro 3 mesi dall'insorgenza di un
fattore stressante, e non durare oltre 6 mesi dopo la cessazione del
fattore stressante o delle sue conseguenze perché non si instauri la
malattia. Se il fattore stressante è un evento acuto (licenziamento dal
lavoro), l'insorgenza dell'anomalia è di solito immediata (o entro pochi
giorni), e la durata è relativamente breve (non più di pochi mesi). Se
il fattore stressante o le sue conseguenze persistono, anche il disturbo
dell'adattamento persiste. In base alla durata dei sintomi si definisce
cronico quando perdura per oltre sei mesi.
- I
disturbi dell'adattamento si possono presentare sotto varie forme a
seconda dei sintomi predominanti: ansia, depressione, reazione mista,
alterazione della condotta e/o della emotività, non specificato.
- Si
definisce disturbo dell'adattamento cronico con ansia, quando le
manifestazioni cliniche predominanti sono costituite da sintomi come
irritabilità, preoccupazione, o irrequietezza; con umore depresso quando
le manifestazioni predominanti sono costituite da sintomi come tristezza
profonda, facilità al pianto, o sentimenti di perdita di speranza; con
ansia e umore depresso misti, questo sottotipo dovrebbe essere usato
quando la manifestazione predominante è una combinazione di depressione e
di ansia; con alterazione della condotta quando la manifestazione
predominante è un'alterazione comportamentale caratterizzata da
violazione dei diritti degli altri o delle norme o regole della società
appropriate per l'età adulta (assenze ingiustificate dal lavoro,
vandalismo, guida spericolata, risse, inadempienza verso le responsabilità
legali). Un altro sottotipo è quello con alterazione mista dell'emotività
e della condotta in cui le manifestazioni predominanti sono sia sintomi
emotivi (depressione, ansia) che un'anomalia della condotta. Infine, il
sottotipo «non specificato» si verifica quando le reazioni maladattative
agli stressor non sono classificabili come uno dei sottotipi specifici
sopra citati. Tale descrizione in ambito medico è stata catalogata con il
trattato: Manuale Diagnostico Statistico (DSM) IV - Text Revision.
-
- DISTURBO
POST-TRAUMATICO DA STRESS
- Disturbo
in cui un evento traumatico opprimente viene rivissuto, causando paura
intensa, senso di impotenza e di orrore ed evitamento degli stimoli
associati al trauma. Gli eventi traumatici comprendono eventi che hanno
implicato morte o minaccia di morte, gravi lesioni o altre minacce
all'integrità fìsica propria o di altri. L'evento traumatico viene
rivissuto più volte con ricordi spiacevoli dell'evento, sogni spiacevoli
ricorrenti dell'evento; sensazioni di rivivere l'esperienza con illusioni,
allucinazioni, ed episodi dissociativi di flashback. La reazione di
evitamento degli stimoli associati con il trauma e l'attenuazione della
reattività generale rappresentano i meccanismi per controllare i sintomi
di una reazione d'allarme crescente. La vittima presenta sintomi
persistenti di ansia non presenti prima del trauma che possono essere
rappresentati da: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
irritabilità o scoppi di collera; difficoltà a concentrarsi;
ipervigilanza; esagerate risposte di allarme. Il disturbo post-traumatico
da stress si definisce cronico se la durata dei sintomi è presente per
almeno 3 mesi. A volte l'esordio dei sintomi è ritardato (se avviene
almeno 6 mesi dopo l'evento stressante).
- Tale
descrizione in ambito medico è stata catalogata con il trattato: Manuale
Diagnostico Statistico (DSM) IV-Text Revision.
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- RAPPORTO
DI CAUSALITÀ TRA LE AZIONI MOBBIZZANTI E LE MANIFESTAZIONI
- L'accertamento
del mobbing deve avvenire attraverso un metodo rigoroso e scientificamente
validato (16) di valutazione dei comportamenti a rischio che devono
soddisfare obbligatoriamente alcuni parametri riportati qui di seguito
(nel caso in cui anche uno solo dei parametri non è rispettato non si può
parlare scientificamente di mobbing).
- La
frequenza degli attacchi e dei comportamenti ostili deve essere di almeno
alcune volte al mese (almeno una volta a settimana, secondo la definizione
di Leymann (3). La durata del conflitto deve pro-trarsi per almeno sei
mesi, sì può considerare anche un limite di soli tre mesi nel caso in
cui la frequenza degli attacchi sia quotidiana e le azioni siano dotate di
particolare forza conflittuale e carica persecutoria: in questo caso viene
denominato Quick Mobbing. Le azioni condotte dagli aggressori devono
essere riconducibili ad almeno due delle cinque tipologie di comportamenti
«mobbizzanti» (almeno tre su cinque nel caso del Quick Mobbing):
attacchi alle relazioni sociali ed alla possibilità di comunicare;
isolamento sistematico; cambiamenti in senso peggiorativo nelle mansioni
lavorative; attacchi alla reputazione ed all'immagine sociale; violenze
e/o minacce di violenza. L'andamento del fenomeno procede secondo fasi di
crescente gravità a partire da una «condizione zero» di conflitto
generalizzato, fino ad una fase terminale in cui la vittima viene «eliminata»
dal mondo del lavoro (dimissioni, prepensionamento, licenziamento,
suicidio). La volontà di danneggiare la vittima, può essere motivata da
uno scopo politico e di strategia aziendale ma anche da fattori emozionali
inconsci come sentimenti di rivalsa e invidia, o fattori caratteriali
favoriti da alcuni tratti di personalità. Il riconoscimento e la
valutazione dei suddetti parametri può avvalersi di questionari di
diagnosi del mobbing elaborati sulla base del Leymann Inventory of
Psychological Terror (LIPT). Esistono vari questionari per la diagnosi del
mobbing da parte del medico, tra cui quello realizzato dal nostro gruppo
di lavoro; per tali questionari si rimanda a trattazioni specifiche.
- A
completamento e conclusione di quanto sopra esposto si ritiene che per
confermare il rapporto di causa/effetto sia necessario valutare i seguenti
punti:
- 1)
l'attestazione dello stato di salute anteriore all'eventuale azione
mobbizzanti;
- 2) che la malattia riferita sia documentata in maniera chiara e non
contraddittoria;
- 3) che il
rapporto tra azione mobbizzante e malattia sia chiaro e con ragionevole
certezza almeno probabile;
- 4)
che la documentazione e le prove testimoniali attestino
un'oggettiva situazione lavorativa problematica e frustrante;
- 5)
che la presunta somatizzazione sia
documentata
anche dal
punto di vista causale;
- 6)
che le azioni riferite come mobbizzanti siano dovute a un'effettiva
«forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e
non etico posto in essere in forma sistematica — e non occasionale ed
episodica - da una o più persone, nei confronti di un solo individuo il
quale viene a trovarsi in una condizione indifesa e fatto oggetto di una
serie di iniziative vessatorie e persecutorie» (3). Non rientrano,
invece, i comportamenti chiaramente riconducibili a una necessaria
riorganizzazione dell'intero assetto lavorativo, legato a nuove esigenze
di gestione, che comportano modifiche dei ruoli e delle competenze di
tutti i dipendenti e nelle quali non si ravvisa quanto sopra esposto.
-
- PREVENZIONE
- Il
Medico del Lavoro collabora con il Datore di Lavoro e con il Responsabile
del Servizio di Prevenzione e Protezione alla valutazione dei rischi e
alla predisposizione delle misure di prevenzione a tutela della salute e
dell'integrità psico-fisica dei lavoratori; quindi, deve portare il
proprio contributo nel riconoscere precocemente e nel contrastare i
comportamenti persecutori sul luogo di lavoro.
- Le
misure di prevenzione hanno come scopo principale quello di instaurare una
cultura aziendale caratterizzata da una linea di condotta dei dirigenti e
dei dipendenti basata sul reciproco rispetto, sulla promozione di un
ambiente socievole e sull'interesse comune, requisiti indispensabili per
prevenire la comparsa di comportamenti vessatori e di terrorismo
psicologico e anche per garantire il successo economico dell'azienda
stessa. Le più importanti misure di prevenzione sono quelle di tipo
organizzativo, che potrebbero comprendere ad esempio: il diritto di
reclamo della vittima a soggetti o organi aziendali preposti che possano
essere di aiuto nel chiarire e documentare i fatti e nel proporre
contromisure da adottare; il diritto alla riservatezza nei confronti di
terzi in merito alle informazioni, ai fatti avvenuti e ai dati personali
dei soggetti coinvolti; provvedimenti disciplinari per gli aggressori di
severità proporzionata alla gravita delle azioni, ad esempio: ammonimento
e avvertimento, multa, assegnazione ad altro posto di lavoro,
licenziamento. Inoltre, è da ricordare l'obbligo del Datore di Lavoro di
informare ed educare i lavoratori sui rischi connessi all'attività
dell'impresa; nel caso specifico del mobbing, una corretta informazione
dovrebbe riguardare le caratteristiche del fenomeno e le conseguenze
(mediche, economiche, professionali e legali) per le vittime e i
responsabili.
- Uno
strumento utile per individuare precocemente il rischio di mobbing in un
ambiente di lavoro potrebbe essere rappresentato da questionari
clinico-anamnestici mirati alla tipologia del rischio e all'organo
bersaglio da somministrare ai lavoratori. I questionari di prevenzione del
mobbing nei luoghi di lavoro sono di non facile applicazione; il nostro
gruppo (17) ne ha realizzato uno semplice con 20 items che si allega in
APPENDICE.
- Il
questionario da noi elaborato permette una valutazione qualitativa (stima)
del rischio di mobbing in un determinato ambiente di lavoro, fornendo
informazioni con validità per il gruppo e non per il singolo lavoratore,
allo scopo di identificare se sussiste, e a che livello di gravità, la
possibilità che si verifìchino azioni mobbizzanti in un luogo di lavoro,
in modo che il datore di lavoro possa intervenire prima dell'aggravamento
dei comportamenti vessatori e prima della comparsa degli effetti sulla
salute della vittima. Infatti, il questionario potrebbe anche essere utile
per verifìcare l'adeguatezza delle misure di prevenzione adottate,
soprattutto a livello di organizzazione aziendale, monitorando nel tempo
il rischio attraverso somministrazioni periodiche.
-
- APPENDICE
- Il
questionario proposto dalla Cattedra di Medicina del lavoro dell'Università
degli Studi di Roma «
La Sapienza
» è strutturato nella maniera seguente (tab. 1): 20 domande a risposta
chiusa (4 possibilità di risposta) divise in tre gruppi da
auto-somministrare ai lavoratori:
- a)
Possibilità
di comunicazione e relazioni sociali: domanda n. 1 -5;
- b)
Qualità professionale:
domanda n. 6-15;
- e)
Attacchi alla salute, personalità,
dignità: domanda n. 16-20.
- Una
frequenza ≥ 50% del punteggio massimo (80) potrebbe essere associata
ad un rischio significativo di mobbing. Una frequenza ≥ 50% del
punteggio massimo nel primo gruppo («Possibilità di comunicazione e
relazioni sociali») può essere interpretato come un rischio di mobbing
in fase iniziale; una frequenza ≥ 50% del punteggio massimo nei
primi due gruppi, rappresenta una fase più avanzata di mobbing. Se esiste
una frequenza ≥ 50% del punteggio massimo in tutti e tre i gruppi,
il livello di mobbing è grave e il rischio di esclusione del lavoratore
dalla realtà lavorativa è elevato.
-
NOTE
-
(sono state omesse le
restanti citazioni bibliografiche in lingua inglese)
-
-
(*) Cattedra di Medicina del
Lavoro, Università degli Studi di Roma «La Sapienza»: Ordinario e
Direttore Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro Prof.
Francesco Tomei.
-
(1) D. Minlavoro e delle
politiche sociali 27 aprile 2004 - Elenco delle malattie per le quali è
obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'alt. 139 del
testo unico, approvato con D.P.R. 30 giugno 1965» n. 1124, e successive
modificazioni e integrazioni (G.U. 10 giugno 2004, n. 134).
-
(2) D.P.C.M. - Dipartimento
della Funzione Pubblica 19 settembre 2002. Istituzione di una Commissione
di analisi e studio sulle politiche di gestione delle risorse umane e per
lo studio delle cause e delle conseguenze dei comportamenti vessatori nei
confronti dei lavoratori.
-
(3)
LEYMANN H. (1990a), Mobbing and psychological terror at workplaces.
Violence and Victims, 5,119-126.
-
(4) Parlamento
Europeo-Commissione per l'occupazione e gli affari sociali, Relazione sul
mobbing sul posto di lavoro, 16 luglio 2001 (2001/2339 (INI).
-
(5) Eurispes, Rapporto
Italia - Mobbing: l’ identikit del perseguitato, Roma, 17 gennaio 2003.
-
(6) FATTORINI E, CAMPO G.,
Mobbing è realtà - Indagine conoscitiva sul fenomeno MOBBING nel settore
elettrico, ISPESL Dipartimento Medicina del Lavoro; Documentazione,
Informazione e Formazione, Roma, 27 giugno 2002. www.ispesl.it
-
(7) DE FALCO G., MESSINEO
A., MESSINEO E (2003), Mobbing diagnosi, prevenzione e tutela legale, EPC
LIBRI, Roma.
-
(8) RlGUZZl S., PANDISCIA
R., D. RECCIA, Il MOBBING- Violenze morali e persecuzioni psicologiche sul
lavoro. Il terrore psicologico e il danno psichico sul posto di lavoro.
Orientamento della giurisprudenza ed iniziative legislative, Buffetti
Editore, Roma.
-
(9) GIRARD R. (1987), Il
capro espiatorie, Milano Adelphi Edizioni, pp.325.
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(10) EGE H. (1996), Il
Mobbing in Italia, Introduzione al Mobbing culturale, Pitagora, Bologna.
-
(11) EGE
H. (2001), Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, Franco Angeli, Milano.
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(12) COSTA G. (2004),
Cardiopatie da fattori stressogeni, La Medicina del Lavoro, 95,133-139.
-
(13) TOMEI E, ROSATI M.V.,
BACCOLO T.P., BERNARDINI A., CIARROCA M., TOMAO E. (2003a), Plasma concentration of adrenocortico-tropic hormone in traffic policemen, Journal
Of Occupational Health, 45,242-247.
-
(14)
TOMEI E., ROSATI M.V., CIARROCA M., BACCOLO T.P, GABALLO M., CACIARI
T.,TOMAO E. (2003b), Plasma cortisol levels and workers exposed to urban
pollutants, Industrial Health, 41,320-326.
-
(15) TOMEI E, ROSATI M.V.,
CIARROCA M., CHERUBINI E., BACCOLO T.P., ANZELMO V., TOMAO E. (2003c),
Work exposure to urban pollutants and urinary homovanillic acid, Journal
of Environmental Science and Health Part A, Toxic/Hazardous Substances &
Environmental Engineering, 38,2909-18.
-
(16) EGE H. (2002), La
valutazione peritale del danno da mobbing, Giuffrè, Milano.
Tabella I
– Questionario di prevenzione del mobbing
(omesso)
(fonte: Consulenza n.
27/2005, Buffetti ed.)